giovedì 15 settembre 2011

Poveri scrittori.

Gli scrittori vivono di cose piccole, apparentemente irrisorie.
A me piace scrivere, mi è sempre piaciuto. Mi piace cominciare un discorso e lasciarmi trasportare; parlare del tempo che s'impiegherebbe a piedi da qui alla luna, della schiuma del cappuccino, dei discorsi delle file al supermercato e di cose apparentemente senza senso: le più importanti di tutte, a mio parere.
Sapete, invece, cosa realmente un senso non ce l'ha? Non hanno senso le parole non dette e i messaggi sotto formato di bozza, le istruzione della lavatrice in tedesco, chi distingue le persone dall'insieme e non per particolari. Non ha senso... C'è chi ha mantenuto i propri sentimenti sotto chiave da una vita, chi ha tagli sulle dita e mani ruvide, chi stringe la stessa da un'eternità, chi non si arrende, chi si dà vinto e, di conseguenza, chi ha vinto.
Mi piace fermarmi ad immaginare la storia delle persone, quella che ognuno di noi scrive giorno dopo giorno: la vera storia. Siamo qui per un motivo, no? Io penso che non esistano persone che non sanno amare. Magari lo fanno in modi diversi, ma amano sempre. Cosa abbia senso, cosa ci sia in fondo da capire, nessuno lo sa. Anche se alle volte, per azzardo, qualcuno azzeccandoci riesce a vedere quella piccola parte di verità che sopravvive nel mondo. Sono le persone con le fossette sulle scapole, a simboleggiare ciò che non si vede e che le fa volare.
Quelle che alcuni giorni riescono persino a svegliarsi sereni anche se un senso non c'è.
Quelle che alcuni giorni riescono persino a svegliarsi spezzate in due perchè un senso non c'è.
Vivono di cose piccole: di panni stesi ad asciugare, delle urla dei bambini, di nuvole, persche noci e bus delle cinqueedodici; che non hanno perso neppure un sogno per strada e per le quali rialzarsi con le gambe tremanti è diventata abitudine, che ancora cuociono torte...
Poveri scrittori, senza pudore e coraggio per tenersi tutto dentro...

sabato 10 settembre 2011

Per mille vite ancora.

Questo mondo quando si ha diciassette anni non è mai come vorremmo. Così, appena riesco a fregarlo, a rubare tempo al tempo, io vengo qui. Da lui. E gli altri non capiscono, sanno già che sono una testa dura, che non sono solita dare fiducia ad altri. Eppure, di lui, mi fido.
Mi fido perchè anche se litighiamo, sappiamo che l'orgolio non è che in fin dei conti serva a qualcosa, che gli perdonerei tutto. Perchè non sono brava con le parafrasi delle emozioni, ma so leggerle in un movimento, in un suo sguardo e lui pure. Per non star a parlare poi della mia goffaggine che tanto sortisce tenerezza, quando è capace di appiccicarmisi addosso quando cerco un'interazione col mondo a me affine.
Ma qui no. Qui, ogni barriera sembra scomparire in un istante: basta un contatto d'intesa. Che, poi, in due contro questo mondo si spacca il cielo...
Sono cresciuta, qui: nella polvere, sudore, fango e cielo terso. Qui tante volte me ne sono andata gettando tutto a terra, o cadendovi, vinta dalla frustrazione. E qui ho imparato a stringere i denti e tenere duro, anche quando ogni sforzo pare vano. È stato qui che è nata la mia tenacia ed ho imparato a lasciar sortire la sottile dolcezza che dimora nel mio più profondo angolo nascosto. Ho vinto, riso, pianto, sporcandomi di sabbia dalla testa ai piedi.
Ho imparato il vero significato delle parole: fiducia, lealtà, amicizia, amore.
Così, qui puntualmente torno, per ritrovare me stessa o, perlomeno, quella parte di me più reale, completa. Quella parte che altrove non portebbe sopravvivere.
Ed è per questo che, a quella parte del misero genere umano che ancora mi chiede: "perchè?" o, peggio non riesce a comprendere (forse semplicemente non ne è in grado) e mi pone la questione: "Ma chi te lo fa fare? Lo rifaresti?"
Sì. Per mille vite ancora.