sabato 9 giugno 2012

Non c'è cuore che non venga preso per fame e, per forza, quando è ora, sbraniamo. (Scrivere)

La gente crede che uno scriva perché non sa tirare di boxe e non ha fegato, sono d'accordo per la prima parte. Io, avrei voluto più volte avere un corpo più adatto a tirare pugni e meno all'amore...
Le persone credono che uno scriva perché ogni scrittore è un potenziale assassino o serial killer, che non è capace di fare del male ad una mosca. O magari, perché non osa rapinare un supermercato di speranze a prezzi esorbitanti.
Il bello è che scrivere non serve a nulla di tutto ciò. Scrivere è un limite tendente a zero, un difetto in più. Il bello, è che dopo averlo fatto, stai male, come dopo aver pianto a dirotto soffocando le urla nel cuscino o quel sentimento di vuoto dopo gli esami di maturità: stai malissimo, perché nulla è cambiato. Perché tutto rimane immutato, tranne il tuo trucco sul cuscino, tranne gli occhi. Il brutto è che scrivere non guarisce dagli impulsi assassini e rapinare un supermercato rimane pur sempre un obiettivo impossibile.
Peccato che uno non scriva per nulla di tutto questo. Uno scrive perché si rende conto che, indipendentemente da quanto amore possa contenere, sarà sempre troppo piccolo per lui.
Uno scrive perché è un garbuglio di capelli rossi, idee senza capo né fine: è un disastro e inciampa ogni due passi nei suoi pensieri. Perché ama, ma ha parole difficili e convive da sempre con i suoi mostri sotto il cuscino... perché, ogni tanto, uno di quelli cresce troppo e fa paura.
E, allora, io scriverò che l'amore p un po' come avere poco tempo e allo stesso tempo averne troppo. Perché è un chiodo fisso: un pensiero che non si stacca mai da un altro, che non c'entra nulla con quello che stai facendo. Come strovarsi a pezzi, raccoglierli e riattacarli, anche quelli più piccoli, anche la polvere, poiché è da questa che nascono le stelle, e creare un'opera d'arte.
E guarda, guardaci: ci siamo trovati, ritrovati davanti ad uno specchio e abbiamo visto riflessi entrambi i nostri oceani in tempesta. Il mio nel tuo, il tuo nel mio. "Ho paura". Ho pensato, forse anche scritto. "Ho paura". E tu, avresti dovuto rassicurarmi. Avresti dovuto dirmi che sarebbe andato tutto bene, ma la verità è che avevi ancora più paura di me, nevvero amore?
Ho capito che il problema non mai stato l'amore: non tra noi. Ne abbiamo da riempire un mare. Lui c'è, lui non passa e resterà a farci compagnia nelle giornate di nebbia. Lui è svelto, colépisce a tradimento e si inchioda nel tuo sangue.
Il problema, non era l'amore, poiché eravamo ben consapevoli che non c'è cuore che non venga preso per fame e, per forza, quando è ora, sbraniamo.
Il problema, è che eravamo pure consapevoli del fatto che ci saremmo potuti uccidere a vicenda, ma non avremmo avuto il coreggio di chiedere aiuto.
Dopo è stato un po' come chiudere gli occhi e lasciarsi cadere, senza sapere se la terra sarà sempre presente quando ne avremo bisogno.
Per la prima volta, non ho sentito l'impulso di scappare. Io, sai, scappo sempre. Non ho trovato le parole, sono rimasta in silenzio e non avrei dovuto. È stato tempo fa.
E ancora ti amo. E allora, te lo scrivo. Ecco: uno si mette a scrivere perché rimane troppo piccolo per tutto l'amore che ha.
Ma, non temete, non temere, ho una collezione di barattoli senza fondo immensa.

domenica 3 giugno 2012

E la vita non galleggia più nella boccia del pesce rosso. (Mangiate prima il dessert)

Non trovate sia estremamente riduttivo pensare che il tempo sia bello solo quando splende il sole? Io sì. Così come trovo inutili le parole della gente in generale che, a furia di cambiare idea e colore alle pareti della sua anima, si è intossicata il cuore. Credo che ci sia di peggio, in fondo, di camminare rasente i muri. Per esempio, ci sono i muri. Sapete che c'è? C'è che troppe volte ci sentiamo sbagliati, insicuri, imperfetti e allora i muri appaiono come delle certezze. Difficilmente tendiamo a prendere in mano la nostra vita, o quel che ne resta sotto le macerie dei ricordi, e farne nuovi orizzonti. Sapete qual'é il problema? Lo stesso che mi spinge ad odiare il fatto di falciare l'erba, perché tutti hanno un prato con l'erbetta tagliata perfettamente... e quando ci si ritrova a fare le cose che fanno tutti gli altri, si diventa tutti gli altri.
Io, ho ripreso a respirare aria leggera. Ho abbandonato la mia consapevolezza circa il fatto che la felicità non è qualcosa che ci è dovuto. Non si può averne a piacere così come non si può dire al sole: "più sole", o alla pioggia: "meno pioggia", vero. Ma è pure vero che, dal momento in cui ho cessato di pensare che solo gli altri possedessero il coraggio per amare, fin tanto che non ho alzato la testa e osservato quel cielo stupendo senza che dai miei occhi trasparisse l'oceano, smettendo pure di chiedere alla primavera se ci sarà per sempre, ho ripreso a respirare aria leggera.
Aria che ha liberato i miei polmoni da tutto il veleno accumulato di anno in anno, che ha reso i miei occhi più chiari e limpidi. Sarà che questo è uno di quei pomeriggi dove mi fermo e mi chiedo se tutto quello che mi gira intorno: appunti sparsi sulla scrivania, orari degli esami, panni stesi ad asciugare sotto la pioggia di giugno, il telefono sul comodino e i biscotti nella credenza, te che dormi e i miei pensieri di yogurt e lettere d'amore nel frigo, siano reali o meno.
Sarà che avevo sempre saputo che il vero amore è al di sopra di tutto e sarebbe stato meglio morire piuttosto che cessare di amare. Sarà che basta poco, talvolta anche solamente due parole, un abbraccio, e la vita non sta più a galleggiare nella boccia del pesce rosso.
Sarà che questa vita è breve. Troppo corta per concederci il lusso, la libertà di non amare.
Troppo corta, nevvero? E allora, che aspettate? Ridete finché respirate, amate finché vivere e... mangiate prima il dessert.