venerdì 29 marzo 2013

Disertai il 21 a primavera. (L'attrazione per quello che ci ferisce)


Vorrei poter scrivere quello che penso. Vorrei avere il coraggio di ritrovare ciò che sono. Il fatto è che, ora come ora, nella mia testa c’è talmente tanta confusione che il mondo là fuori lo sento appena. Tanta confusione da fare persino concorrenza alla mia camera: maglioni, calze, cd, coperte, borse, libri ovunque. E la vita sta tutta nei pensieri, e sopra al letto ci sono io: la cosa più disordinata di tutte. Io col mio pessimo carattere, sebbene sia il migliore tra i pessimi.

Ma chi voglio prendere in giro: la mia autostima non cammina sul ciglio di una strada, sul cornicione di un palazzo, non zoppica: non fa nulla. Si è suicidata direttamente.

Perché siamo costantemente attratti da quello che alla fine ci ferisce, ci fa del male che esso sia fisicamente o mentalmente. Forse il problema sta nel fatto ne siamo perfettamente coscienti, e ciononostante ci convinciamo che non sia così: ci convinciamo di essere in grado di fare in modo che le nostre ferite non ci cambino, non ci facciano diventare ciò che non siamo mai stati.

Ma la vita non è così e benché stare con te era come essere in guerra in prima linea: un continuo bombardamento, un perenne scavare trincee, convincersi di poter vincere la guerra, venire feriti e poi ricuciti, non ho avuto il coraggio di dire al comandante di non farcela più. Esiste veramente qualcosa che possa durare l’infinito di una vita? Non credo. Come ora so che l’amore non muore mai di morte naturale: muore perché si esaurisce, muore di cecità, di errori e tradimenti, di stanchezza e di ferite.

Ognuno commette errori: l’errore è la cosa più umana al mondo per quanto ci convinciamo che non sia così. Il mio difetto, errore più grande è quello di non riuscire ad accettare compromessi, io sono per il tutto o niente: per il “alla follia” ma non per il “per sempre”. Io sono per il convincermi di non avere bisogno di nessuno. Eppure so esattamente che ciò non è possibile, che anche gli scrittori hanno bisogno di qualcuno al loro fianco, che siano gli amici che se ne vanno o il proprio cane, non certo quella tazza di té che tanto li accompagna. Ma in momenti come questi sanno solo scrivere e camminare. Camminare per cercarsi, perché ci si sente persi. Persi sul bianco di un foglio e nella vita. Perché in fin dei conti l’odio è come l’amore: o lo possiedi o no. E non vogliono arrivare ad odiare.

giovedì 28 marzo 2013

Lasciate ch'io urli. (Cosa rimane?)

E ancora mi guardo chiedendomi che fine ho fatto. E quel momento dove decisi inconsapevolmente di lasciare perdere tutto: ogni ideale, ogni pensiero non mi è mai sembrato così lontano, così sciolto sotto questa pioggia infame che cade leggera tanto quanto basta per scuotere quell'apparenza di equilibrio ed impassibilità che riuscivo ancora a fingere. Ma, ben presto, ho compreso che quel senso di equilibrio lo hanno solo le cose provvisorie, destinate a finire.
Io non so di cosa sia composto il dolore, forse d'impotenza, non certo di rimpianto, di errore senza consapevolezza, di lacrime non piante, e quindi lasciate che io urli. Lasciatemi urlare e picchiare i piedi a terra, e i pugni al muro. Lasciatemi... inutile: non c'è nessuno che mi sente.
E io ancora non mi trovo, chiedendomi come sei entrato nella mia vita. Con che coraggio, come hai osato. Come facevo ad essere così indifesa?
E alla fine, alla fine di tutto cosa rimane? Un riflesso in cui non mi riconosco, la pioggia e questa stupida vita appensa a un filo. Questa vita che si prende gioco di noi, delle nostre paure e delle nostre debolezze. L'unica cosa che possiamo fare è lasciare cadere tutto questo dolore, lasciarlo cadere sperando che, un giorno, possa infrangersi.

domenica 17 marzo 2013

Quello che mi si legge in faccia. (Le notti che durano giorni)

Scrivere e poi cancellare, questo è quello che ho continuato a fare nell'utimo mese: la lista della spesa, un messaggio da spedire, il blog. Forse perché nella vita reale non è possibile tornare in dietro e cancellare: non esiste gomma alcuna. Non si può ripensare a ciò che si è detto, fatto, e decidere di percorrere una strada diversa, di prendere il coraggio a due mani e cambiare almeno un po' la propria vita, quella situazione nel passato in cui il coraggio è venuto a meno e l'abbiamo lasciata passare senza fare o dire nulla. Forse è anche per questo che scrivo, oltre che per tirare fuori tutto quello che non dico e che mi si legge in faccia. Forse scrivo per rivincita, per vendetta, per illudermi di poter prevedere, raccontare come sarebbe potuta andare la vita, per che verso sarebbe corsa se avessi detto le parole giuste.
O forse perché nell'amore si tace continuamente. Il silenzio è quasi maggiore di ciò che andrebbe detto. Putroppo questo capita anche nell'amicizia, che invece dovrebbe essere il rapporto dove non dovrebbero esistere inutili barriere emotive. Censura. Autocensura di pensieri, di parole che vorremmo dire ma non diciamo per paura. Ma paura di cosa poì? Di rimanere soli.
Va comunque a finire così. Inevitabilmente. E non siamo noi a sceglierlo e non sono le parole a fare la differenza. Magari ci si illude di averlo deciso, di aver deciso di lasciare perdere tutto, di essere padroni di ciò. Eppure ci si sente padroni solo delle cose provvisorie e questa sensazione è destinata a finire presto.
E quindi si prova a dimenticare, eppure certi ricordi ci assalgono di notte. E trovo sia un peccato che tu ed io non possiamo essere amici. Semplicemente amici. Un'amicizia come tra due donne. Perché non sei una donna? Risolverebbe un sacco di problemi.
In ogni caso però la felicità è sempre vicino a noi: arriva all'improvviso quando meno ce l'aspettiamo, basta convincersi che ciò sia vero. Si trova nelle piccole cose, come d'altronde l'infelicità che giunge puntuale tanto da sembrare spietata.
E quindi si prova a dimenticare.. Ma poi ci sono notti che ci accompagnano per tutto il giorno...