Vorrei
poter scrivere quello che penso. Vorrei avere il coraggio di ritrovare ciò che
sono. Il fatto è che, ora come ora, nella mia testa c’è talmente tanta
confusione che il mondo là fuori lo sento appena. Tanta confusione da fare
persino concorrenza alla mia camera: maglioni, calze, cd, coperte, borse, libri
ovunque. E la vita sta tutta nei pensieri, e sopra al letto ci sono io: la cosa
più disordinata di tutte. Io col mio pessimo carattere, sebbene sia il migliore
tra i pessimi.
Ma chi
voglio prendere in giro: la mia autostima non cammina sul ciglio di una strada,
sul cornicione di un palazzo, non zoppica: non fa nulla. Si è suicidata
direttamente.
Perché siamo
costantemente attratti da quello che alla fine ci ferisce, ci fa del male che
esso sia fisicamente o mentalmente. Forse il problema sta nel fatto ne siamo perfettamente
coscienti, e ciononostante ci convinciamo che non sia così: ci convinciamo di
essere in grado di fare in modo che le nostre ferite non ci cambino, non ci
facciano diventare ciò che non siamo mai stati.
Ma la vita
non è così e benché stare con te era come essere in guerra in prima linea: un
continuo bombardamento, un perenne scavare trincee, convincersi di poter
vincere la guerra, venire feriti e poi ricuciti, non ho avuto il coraggio di
dire al comandante di non farcela più. Esiste veramente qualcosa che possa durare
l’infinito di una vita? Non credo. Come ora so che l’amore non muore mai di
morte naturale: muore perché si esaurisce, muore di cecità, di errori e
tradimenti, di stanchezza e di ferite.
