Fuori dalla finestra piove ancora, mentre io cerco di mettere nelle scatole di cartone gli ultimi frammenti dei miei scheletri che ho tolto dagli armadi. Dentro me è uno scrosciare ininterrotto di pensieri che fanno esondare i miei fiumi sottocutanei in piena. Tutto questo perché, ogni tanto, ti penso spesso.
Perché sto recitando una parte che non mi appartiene e non riesco a calarmi totalmente nel ruolo: rimangono sempre gli occhi trasparenti coi quali non riesco a mentire, perché così io non mi riconosco, perché nel momento giusto non ho trovato parola alcuna nonostante fossi piena di cose da dire.
Sarà l'età, sarà che sento di avere bisogno di una piccola rivoluzione a partire dall'idea della prima colazione… Sarà che abbiamo in comune delle grandi similitudini che possiedono il potere di dividerci e, al contempo, di unirci. Forse sono solo grandi nevrosi.
Forse è la comune sofferenza circa il non amare quel vivere a metà del quale si accontenta la maggior parte della gente, e lo osserviamo da fuori, come qualcosa di estraneo ai nostri percorsi. Voglio dire, se ti vedessi per strada un giorno per caso, senza conoscerti, probabilmente resterei a osservati tutto il tempo, come succede con quelle persone che a volte mi capita di scorgere in stazione: quelle persone che incroci e non dimentichi più, forse perché hanno qualcosa che non hai mai visto in nessun altro.
Perché sto scrivendo tutto ciò? Non ne ho idea alcuna. Mi piace pensare che prima o poi questa marea di parole mi porterà a saper rispondere spontaneamente a quella domanda che potrebbe avvicinarmi più di cento passi e dalla quale continuo a fuggire rifugiandomi in un silezio ermetico. Mi hanno però portata a cercare di rispondere a tono ad un'affermazione di due giorni fa circa il bastare. Avrei dovuto dire che, se una persona capita di confonderla con la gente che si incontra, e si prova l'impressione penosa che questi individui non possano valere minimamente quella singola
compagnia, un'affermazione circa il non bastare altro non è che una scusa, o una paura. E questa è la risposta più diretta che io riesca a scrivere.
Non mi sono persa, stavolta. Sono ancora qui, a sigillare scatoloni e parole, e a ripetermi di lasciarmi andare, perché a voler essere padroni di tutto, si finisce col diventare padroni di nulla. Perché le emozioni non hanno padrone e non temono il minimo controllo… subiscono. Subiscono e, quando si esagera, scoppiano come le guerre.
E allora, "dimmi tu cos'è, se questa non è guerra."
martedì 29 aprile 2014
sabato 19 aprile 2014
Qui non ci sono cadaveri sotto al letto.
Mi hanno vista tornare trascinandomi dietro
una borsa piena di vestiti messi alla rinfusa, libri e quattro moleskine
stropicciati. Sono arrivata due giorni fa, senza ombrello nonostante la meteo
prevedeva pioggie acide causate dalle nostre emozioni poco biodegradabili. E,
magari, un giorno di questi, qualche ambientalista verrà sotto la mia finestra
a manifestare contro il mio cuore inquinante, mentre mi affaccerò speranzosa,
per poi tornare a sdraiarmi sul letto a scriverti del nostro giocare a fare gli
indifferenti. Un gioco a cui non si può vincere mai, che non so neppure fare,
poiché non so come si può giocare ad un gioco in cui devi fingere… Sembra il
testo di una canzone di Vasco Brondi…
Mentre qui ancora piove, ed è partita
quella canzone nelle cuffie, senza sapere dove potrà atterrare. Mentre io
scambierei volentieri qualche mio organo vitale per due o tre poesie
indecifrabili, perché tutto ciò che provo a scrivere risulta essere ben lontano
dalla lirica, e perché sai anche tu quanto pericoloso sia lasciar correre una
penna quando non si sa dove andare a sbattere.
Mentre c’è chi ancora non
capisce, chi ha detto che ho fatto dei bei casini e distratta distruggo ogni
cosa.
Mentre ancora credo che nessuna canzone dovrebbe provare a dare all’amore
un senso, nonostante proprio quel motivo continui a risuonarmi in testa e io lascio che lo faccia
ancora, un’ultima volta che si ripeterà all’infinito.
Qui non ci sono cadaveri
sotto al letto e, devo confessare che un po’ mi mancano. E non lo fanno solo
loro.
Mentre ancora faccio giri di parole mostruosi per evitare di porre l’accento
su quelle parole che fatico a dire e, nel frattempo, esco senza ombrello e
brindo a questo magnifico essere senza senso. Così, torna a martellarmi in testa
quella domanda sul fatto che, qualora tutto fosse realmente privo di senso,
come te li potresti spiegare questi papaveri che, ciononostante, crescono
prepotenti sul ciglio della strada ? Allora ti chiedo, dove sia poi questa
guerra da combattere ad armi impari contro la crudeltà dei sentimenti e del
sentire ? Forse è dentro di noi, forse in nessun posto. Forse è finita da
anni ma nessuno se n’è accorto perché hanno svenduto la bandiera bianca, forse è
solo l’eco delle gocce di pioggia sul tetto, forse la guerra non esiste.
Ed io,
sapevo fin dal principio che avrei finito per perdermi tra le lettere, andar
fuori di testa e non capire niente.
E ancora cerco di convincermi che le distanze
sono una cosa bellissima. E lo sono, di sicuro, ma vaffanculo. E ancora
distanza, tra i miei pensieri e la penna, tra le mie parole taciute e quello
che dico al resto del mondo. Ancora distanza, tra le gocce di pioggia e le mie parole che
diventano anidride carbonica e si disperdono nella notte.
… Stammi a trecentocinquantacinque chilometri di distanza e corrimi addosso. A tre ore e tre quarti di macchina o cinquanta franchi di treno. Ma corrimi addosso.
venerdì 18 aprile 2014
"Mentre il cuore domanda: cos'è che manca?" (Poter dire tutto, facendo finta di niente.)
Vorrei riuscire a tornare a scrivere in modo
semplice, lineare ed essenziale. Ma, ogni qualvolta io ci provi, il foglio non
fa che riempirsi di frasi e pensieri sparsi, senza alcun legame tra di loro.
Tempo fa mi fu detto di provare a buttare fuori tutto a caso. Come se nessuno
leggesse, ma cosciente tuttavia che qualcuno lo avrebbe fatto. E solo allora, lo
scrivere sarebbe divenuto cosa reale e non un semplice grido al vento, grazie a quella presenza invisibile. Ma, al contempo, mi sarei liberata da qualsiasi
paura di venir giudicata. Uno sfogo, un urlo rivolto a qualcuno ci cui avevo
bisogno. Ho perso il conto dei giorni, da quelle parole, da quando ciò di cui
avevo bisogno maggiormente era il fatto di poter urlare e non urlare di
qualcuno. Oggi ? Mi ritrovo qui, a provare a scrivere chiedendomi se io
faccia bene, dal momento che la questione che più mi preme è se io venga
ascoltata anche quando sto zitta…
Sono nuovamente seduta alla finestra più alta
di questa casa, guardo il cielo e mi accorgo di riuscire a veder meglio da
questo buio quei puntini luccicanti che splendono anche nella polvere della mia
stanza in disordine. Mi piace questa finestra spalancata sulla notte della
primavera in arrivo. Mi piace l’amore quando ubriaca. Mentre provo a vivere con
i miei difetti, con la musica sempre troppo alta per chi mi sta accanto,
impilando a caso libri sul comodino e aggiungendo così dell'altra vacillante
instabilità al mio equilibrio precario.
Ma va tutto bene.

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