mercoledì 14 marzo 2012

Fossimo stati creati per la solitudine... (ci avrei dimostrato per assurdo)

Scrivo solo quando lo sento, come il vento che fa tremare le foglie. Scrivo quando tremo: non c'è ora né momento. C'è solo questa corrente che soffia dentro. È un'insostenibile ed adrenalinica vertigine che si avverte sull'orlo di un precipizio. Come stargli accanto, come scivolare senza soluzione di continuità né limite, o, forse, un limite esiste: limite tendente ad infinito.
Vorrei saperne risolvere uno, ogni tanto. Vorrei non avere paura di guardarmi allo specchio ed affogare nei miei occhi. Vorrei dire a me stessa: da oggi avrò cura di te, non ti lascerò più scivolare, cuore.
Ma i miei pensieri si perdono e trovano sempre una strada alternativa al traffico quotidiano: scivolano, sfuggono e sfrecciano. Impossibile calcolarne la velocità o traiettoria, impossibile prevedere dove si schianteranno.
Poiché la ragione è ben poca cosa, e il cuore ha un modo tutto suo di fermarsi.
Non esistono teoremi, né formule, né sistemi. Esiste la certezza, però, che se fossimo stati creati per la solitudine, saremmo stati dotati della capacità di abbracciarci da soli...
Ora però mi chiedo: perché ho scritto tutto questo?
Forse per dire solamente che ci avrei dimostrato per assurdo, fossimo stati un'enigma comprensibile.

lunedì 12 marzo 2012

Possiamo sussurrare. (Sussurrare, fa venire i brividi sulla schiena)

Se c'è una cosa che ho capito è che, per non sentire la solitudine, non occorre stordirsi di frastuono. Stordirsi non basta. Credo invece che ci sia bisogno di sapere che, nel silenzio, c'è sempre qualcuno che possa ascoltare. Credo che un conto siano le parole semplici e un altro le semplici parole.
Quelle più immediate, quelle più vere. Le mie sono quelle che riesco ad esprimere con poche persone, quelle che scrivo quando metto nero su bianco ciò che la mia anima urla silenziosamente.
Trovo che l'errore che facciamo troppo spesso è quello di gettare valanghe di cemento asettico sopra quello che c'è dentro noi. Lo occultiamo. Lo soffochiamo perché ci fa una paura incredibile.
Poi cerchiamo di urlarlo, di liberarcene emettendo più rumore di quanto non faccia quel veleno di ricordi che ci corrode dall'interno.
Sbagliamo. Sbagliamo continuamente, ricordate: siamo fatti per sbagliare, e poi tornare indietro, e desiderare sempre quello che sta dietro al vetro. Mai provato ad allungare la mano e prenderlo? Forse vi siete feriti. Significa che non era per voi.
Forse avete paura di farlo, a presente. Chi non ha paura di farsi male? Chi non ha paura del futuro?
Tranquilli, di male ve ne farete. Ve ne farete ancora tanto. Ma per questo volete mettere in un rispostiglio il cuore? Crediate che ne valga la pena? Io voglio vivere. Anche a costo di soffrire, anche a costo di morire. Io voglio vivere ogni istante e mi accontento di un futuro sempre attuale.
Volete forse farvi rubare il presente perché siete terrorrizzati da eventuali, e alquanto improbabili, cicatrici di carezze? Io mi preoccuperei, invece, di accorgermi di stare sanguinando d'incertezze.
Poi, è inutile urlare: i ricordi sono duri d'orecchi. Inutile. Sussurrare, fa più rumore. Sussurrare fa venire i brividi sulla schiena.
E allora che fare, a presente?
Possiamo discutere su tutto, sui massimi sistemi, interpretare una canzone, ridere, risolvere un'equazione, confessarci i nostri segreti e paure, odiarci, ubriacarci, ferirci, aiutarci.
Possiamo allontanarci. Possiamo ritrovarci, perché, in un qualche modo, ci ritroviamo sempre. Possiamo volerci bene, anzi, ce ne vogliamo sicuramente. Possiamo andare oltre la superficie, respirarci. Pensiamo a ciò che possiamo. Non a ciò che potremmo.
Potresti non credere a ciò che ti dico, vero.
E, allora, credi al modo in cui ti guardo.

giovedì 8 marzo 2012

Brillare, come le mine e le stelle polari. (Stringimi)

Adesso, per piacere, siediti e ascoltami. Cara, felicità, oggi ti scrivo.
E so che bisognerebbe imparare a scrivere per rispetto nei confronti di chi ha bisogno di leggere; é così che dovrebbe essere: scrivere per necessità. Certo, scrivere anche per catarsi, o qualsiasi altro aggettivo vi piaccia e vogliate metterci dentro. Ma, si deve scrivere soprattutto, per necessità, poiché si arriva ad un punto dove è indispensabile dire quello che ci matura e cresce dentro, sotto le nostre pioggie interiori. Trovo che si arrivi ad un punto di fusione dove i pensieri e le emozioni cambiano stato d'aggregazione.
Ti scatta qualcosa dentro, sai? Come quando le persone s'innamorano: cambiano, perdono foglie di delusione e difese e riangono nude ed affamate...
A me, manca un kilo di sorrisi e due etti di comprensione e, perché no, un cartone d'amore a lunga conservazione.
Ciao. Stringimi forte e guardami da vicino. Non da lontano, né troppo piano. Stringimi così forte da non sentire più nulla, più forte che puoi. Tanto da togliermi il respiro, dimenticare il mondo e di avere un cervello e di programmare l'umore artificialmente.
Stringimi e non temere: le emozioni non temono nessun controllo. Loro, quando si esagera, scoppiano. Scoppiano come le guerre. E allora noi "ci metteremo a tremare, ad inchiodare le stelle, a dichiarare guerre". Non si può fare altro se non brillare come le mine e le stelle polari.
Ciao. Scrivo quello che il mio cuore lascia passare: vado in profondità, poiché non si può vivere in supercificie. Non si può vivere realmente, perlomeno. La felicità scava, inevitabilmente: scava e apre ferite...
La cosa positiva, è che sa pure come disinfettarle.
E allora, che aspetti, sono qui. Stringimi e scavami pure nel profondo.

giovedì 1 marzo 2012

Scriverò come se nessuno leggesse. (Quello che sento)

Cosa sento? Sento gente che, continuamente, pur di non guardarsi negli occhi, parla del tempo. Parla del tempo e finisce per considerarlo bello solo quando splende il sole. Quel sole che acceca: dagli occhi al cuore.
Io, sento la pioggia.
"Ma la pioggia deprime!" mi hanno detto. Avete mai provato a vederla per quello che non è? Ho risposto, e molti non hanno capito. Allora, lo scriverò. Scriverò come se nessuno leggesse perché è solo così che questo uragano che mi centrifuga e sconvolge l'anima, mischiandone i pezzi, può scaricarsi.
Sento scìe d'inchiostro che spezzano l'asettico pallore d'un foglio; il nero che s'impregna di parole e cola, sotto questa pioggia.
Come il futuro. Ho sempre pensato al futuro come ad un gelato che si vende già squagliato. Credo che la maggior parte delle persone aspetti qualcosa che le cambi la vita, senza accorgersi, nel frattempo, che la vita stessa le cambia. Il futuro è quel gelato che se s'indugia a mangiare ci cola addosso con le sue appiccicose occasioni mancate.
Volete ritrovarvi tristemente cambiati per paura di cambiare? Che aspettate, allora?
Uscite a correre. Lasciate che questa pioggia vi inzuppi i capelli, i vestiti, il cuore, sciogliendo l'ultima neve che vi si era depositata.
Perché indugiare nell'inverno se è già primavera?
Certo, dimenticavo la questione del passato. Inutile ricordarsi di dimenticare, illudersi che questa pioggia si porti via anche quello. Bisogna incastonarsi d'istanti nuovi e brillanti da ricordare, bisogna fare sbocciare i sorrisi sulle cicatrici. Ciò che insegna il passato non serve a non commettere errori: sbagliare è la cosa più umana che ci sia.
Il passato serve solamente ad avere paura di tentare; una paura densa come petrolio che, talvolta, si riversa nel nostro mare interiore soffocando quelle onde impetuose di sentimenti che ci tengono o riportano in vita.
Volete smettere di vivere per una paura in potenziale?
Quello che ci lega al passato, non è tanto la nostalgia del trascorso, quento l'inconscia, impossibile ed assurda idea che, potendo rivivere anche uno solo di quei giorni, il presente sarebbe diverso.
Ma volete veramente che sia così? Pensateci.
Io no.
Io voglio questa pioggia violenta come legittima difesa dalla ferocia della monotonia.
Chi ha voglia d'inzupparsi con me?
...Al giorno d'oggi, pur di non guardarsi negli occhi, parliamo del tempo: forse perché, negli occhi degli altri, spesso, c'è troppo di noi.