O peggio? Non so. Fattostà che io, lascio i miei capelli così, così il vento mi trasporta di più, perché se li tagliassi non sarebbero più gli stessi che avevi accarezzato tu.
Ed ora, cerco la mia vena poetica. E le parole non escono come rondini perse nell'aria. E scusate se non riesco a dare un senso a ciò che scrivo, ma forse, un senso non ce l'ha. Forse perché nessuno ha ancora capito come funziono, anche perché, le funzioni, sono sempre state incomprensibili alla maggioranza delle persone, me compresa. Il fatto è che se sono incredibilmente lunatica, e se cambio umore spessissimo, forse, è solo perché ho bisogno di attenzioni, sicurezze. Eppure le certezze sono poche. Sono poche, e a rimanere sono solamente le abitudini e quelle piccolezze che non si staccano dai vestiti e dalla mia testa. Forse vorrei solo riavere la certezza di poter usare le parole "io" e "forte", "io" e "te", "noi" nello stesso contesto. Ridatemi la vena poetica, ridatemi queste certezze, ridatemi tutto....
Guardaci: cosa siamo diventati io e te?
Ma lo vedi che ho il mondo dentro agli occhi anche se non emetto parola?
Respira, cosa vorresti sentire?
Forse questa è solo una di quelle notte dove i sogni sono troppo grandi e lontani e le illusioni ci fanno sentire marci, quando tutto ciò che importa è la luna che filtra dalla finestra e le parole sul foglio ed il té non dovrebbero finire mai.
So che a questa età il mondo non è mai come vorremmo: vero. Eppure c'è, eppure ruota e domani la pioggia di settembre bagnerà nuovamente i miei libri di scuola, eppure va amato. Forse dovremmo lasciare alla vita la capacità di sorprenderci.
Io, ho paura. Tu? Di cosa hai paura? Di amare, di amarmi o si non potermi amare abbastanza? Perché se così fosse, allora dimmi, che senso ha aspettare che la pioggia di settembre porti via questa confusione?
Sono qui, sono qui col mio cuore in mano, con una penna di troppo e un foglio bianco da riempire perché è l'unico modo che ho riappreso per comunicare quello che mi scorre nelle vene. Perché se non sccrivo la testa rischia di scoppiare e non lo desidero. Sai, preferisco danzare tra parole e dichiarazioni, che tra silenzi e scatole vuote. Eppure c'è silenzio in questa stanza, ed è ben visibile. Pesa. Uno di quei silenzi che vedi e ti spaventa. Uno di quelli a cui non puoi urlare contro, opporti. Resisteranno ora, al freddo glaciale le tue parole? Resisteranno ancora le mie foto sul muro e i tuoi mancamenti d'aria? I miei polmoni resisteranno agli abissi dei tuoi vuoti? Ora che, come recitava quella canzone "non ci facciamo compagnia". Ora che tu dormi su queste insicurezze ed io scrivo? Ora che ho deciso d'imparare a coltivare non una, ma ben due piante, io che sono sempre stata negata in questo?

Non voglio promesse: sono solo parole, non servono a niente. Eppure, eppure non riesci a non dirle, vero? Non voglio che ci promettiamo di stare sempre insieme. Se proprio dobbiamo prometter qualcosa, allora, promettiamoci che, se ci faremo del male, sarà per poi farci più bene. Che arriveremo anche ad odiarci, pur di non restare indifferenti. Ma, soprattutto, che se continueremo ad amarci, ci ameremo come prima. Ci ameremo troppo, perché un po' meno non sarebbe abbastanza.
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