Forse per addormentarmi sarebbe solamente opportuno che qualcuno spegnesse la luna e tirasse giù quelle stelle. Non c'è nulla da temere, non credo sia un grande spreco, in fin dei conti. Abbiate fede: la maggior parte di loro, son già spente.
Scrivo perché ho un immenso bisogno di parlare, e sono stanca di sentirmi inventare attraverso le parole di chi prova a comprendermi senza rendersi conto del fatto che io sia cosciente che ciò sia impossibile. Non bisogna per forza essere capiti: la maggior parte delle persone è talmente vuota, che quando apre bocca fa eco.
Scrivo perché, a furia di parlare da sola, la gente comincia a mormorare e io ho ancora bisogno di parlare, di parlarti, attraverso parole che non leggerai mai. Comincerei col scriverti che, giuro, non sapevo il tempo non aspettasse, non si voltasse indietro a guardare i resti lasciati sul suo cammino e, magari, rallentasse. Davvero, non lo sapevo. Quel tempo così impaziente che ora gocciola vuoto e non vuol passare in certe ore notturne solitarie, sull'avvento dell'inverno, quando la sera cade inaspettatamente. Ho aspettato e lo farei ancora, folle perché non si dovrebbe mai attendere chi non c'è più, chi non vuol o può tornare.
Ho provato ad esorcizzare in talmente tanti modi questo mio sentire, perfino seguendo l'idea di chi mi ha detto di fare una lista delle cose più brutte e dei peggiori difetti che potevo vedere, ma non è stato sufficiente e, tuttavia, mi è bastata una frase per riassumerli tutti: non sei qui. Ad ogni modo, sono stati talmente tanti gli espedienti che ho attuato, talmente tante le ore passare ad aspettare, che mi resta da chiedermi se sia possibile aspettare fino a dimenticare cosa si stia attendendo. Forse sì, forse l'indizio di questo processo è questa strana attesa, non più presenza, che sento nel momento del mio risveglio. Questa nuova energia che mi porta ad aprire la porta di casa non più con la speranza di far entrare qualcuno, ma per uscire. E, insieme a questa sensazione, una domanda martellante: perché poi, amo le persone come me, salvo odiare me stessa? Nemmeno in quei libri che mi porto a lezione ho trovato risposta.
Ma, sai una cosa? Alla fine tutta questa teoria sulla psicologia umana mi è comunque tornata utile, qualcosa ho imparato.
Ho compreso che non è importate che tu legga o comprenda le mie parole, non è importante che nessuno lo faccia. Ma, quello che veramente è essenziale, è il fatto che io scriva lo stesso.
So bene quanto tutto questo ti sia indifferente, invisibile. Non credo tu lo faccia per cattiveria, ma per l'affetto che hai sviluppato negli anni verso la solitudine in cui persone come me e te si trovano, per il loro passato che li porta a mostrare gli artigli e il peggio di sé agli altri, per l'estrema timidezza che combattono col cinismo, per tutto quello che scavalcano per non rimuoverlo, come un'ordigno pronto ad esplodere, per tutto quello che lambiscono per nasconderlo nella parte più nascosta di quello che sono, per tutto quello che è stato che sono soliti cancellare di colpo e nascondersi a loro
volta nel silenzio. Tutto questo, che odio in me, vedo in te e lì non posso fare a meno che restare affascinata, o scottata, che è poi la medesima cosa.
Non è importante che tu lo legga, persone come noi non son di molte parole. Ma è importante che io possa scriverlo, chiamala cura, se pensi questa sia relalmente una crisi. Io non penso, anche se lo vorrei, perché quando inizia una crisi, c'è un momento in cui tutto è concesso e, allora, troverei l'incoscienza necessaria per soddisfare la mia voglia di avvicinarmi, sollevarti il mento e dirti: "Guardami. Sono qui." Sai, a definire tutto quanto detto basterebbe in fin dei conti solo quest'atto. Vista da fuori, questa situazione, risulta essere alquanto comica, sai? ..."Però nemmeno tu fai qualcosa, dici qualcosa,..." accusa fondata, certo, anch'io son solita nascondermi sotto le ali del silenzio, sarà che siamo "fatti così: incasinati ed essenziali". E visto anche che, a questo punto, a parole, non mi salvo, allora, "parla per me, silenzio, ch'io non posso."
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