domenica 29 dicembre 2013

Non avrei mai pubblicato questi scritti. (Cominciamo dalla fine.)


Ho scritto chilometri di lettere, partendo dalla fine di questa non storia e andando a ritroso. E tutto quello che resta, è la domanda del perché. Il motivo è alquanto semplice : non sono riuscita a comprendre l’inizio, fino a che non ho raggiunto la fine.
È facile, per una come me, cadere senza la minima paura alcuna, Alice nella buca del bianconiglio, perché io, non so cosa significhi vivere a metà. Amare a metà, coinvolgersi ma non troppo… Non fa per me, e neppure per lui, che alla fine, ha trovato la sua realizzazione sotto molteplici forme.
Dovere sapere che non ho giustificazione alcuna, per il modo errato di provare sentimenti : i miei affetti, sono sempre eccessivi. Forse, se non ci fossimo mai conosciuti, a questo punto, avrei ancora maschera e cuore intatti, ma un sentimento come quello vale tutti i frammenti del mondo.
Cominciamo da qui, da questa mia inutile premessa, dalla fine. Già,
non avrei pubblicato questi scritti se non prima di raggiungere la consapevolezza che, se prima avevo paura di perdere il mio interlocutore, ora ho paura di ritrovarlo. E, magari, ora lascio da parte questo inutile tentativo di dare a queste lettere una spiegazione logica, di tracciare un confine tra finzione letteraria e realtà, tra sentimenti e sensazioni. Come se lui e voi altri sapeste già tutto e riusciste ad accettarli nella loro totalità. Come se la consapevolezza che, magari, lui volesse solo starsene dietro il suo vetro, tranquillo, e che con me, ciò non sarebbe stato possibile : con me, star tranquilli non si può, fosse già chiara fin dal principio.
Ecco, ora, possiamo cominciare.

Giovedì 7 novembre 2013, ore 18 - Prima lettera
Anche se non sei qui, può sembrare cosa folle, imbarazzante, insensata, io ti scrivo. Ti scrivo perché ora, oltre alla disperazione, vorrei poter trovare anche me e, scrivendoti, mi cerco.
Che son solita chiudermi in un silenzio ermetico e mostrare gli artigli, forse questo non lo hai ancora capito, giacché con te mi risulta impossibile e, qualora provo a nascondermi, devo far ricorso a un alleato degno solo di essere disprezzato : l’orgoglio. Croce e delizia, ci protegge e ci annienta al contempo.
Premetto che scriverò d’impulso, senza brutte copie, o inutili prove che finirebbero solamente per scolorire le mie parole, conformandole ad un registro adatto. Io non voglio scriverti in modo adatto. Voglio farlo in modo vero, brutto, banale, orrido, ma reale. Poco importa il resto, te compreso. Già, non importa perché, ad ogni modo, non sei qui, pur essendoci con la tua presenza. Non importa, perché questo mi spinge ad esserne attratta, e quindi non ha nulla a che vedere con una sensazione fisica : « never thought I’d get and highter / Never thought you’d fuck with my brain », qualcosa del genere. Non sto giustificandomi, non ho alcun motivo per doverlo fare, sto solo cercando di spiegarti perché, io, dopo tutto, ti scrivo.
Ma mentre cerco un motivo valido, mi rendo conto che i miei pensieri viaggiano ad una velocità ben maggiore della penna, quindi, non cercherò più una ragione.

Nulla ha senso, dopo tutto, ricordi ? Me lo avevi insegnato proprio tu : « Io vi dico : si deve avere ancora del caos dentro di sé per poter generare una stella che danza. » Zitto, non alzare gli occhi, né cercare di darne una spiegazione o dire che, tu, trovi fantastica l’interpretazione che ne ha fatto Palahniuk… Nietzsche continuava così : « Io vi dico : avete ancora del caos in voi. » Hai voglia ! Il mio caos è talmente vasto, che non vedo l’ora che possa provocare una qualsiasi emorragia interna… Penso che ci voglia un po’ di veleno, ogni tanto : fa un gran bene, non credi ? Per questo ti odio, ricordi quella canzone ? « …credimi, tu mi assordi, come fai… ti subirò ». Non starò qui a urlarti in faccia perché tu abbia deciso di rimetterti il casco un attimo prima di lasciarci andare all’asfissia, ma ti dirò che per questo non riesco a odiarti. Se mai, odio il fatto che tu sia capace di scuotermi e fermare la mia emorragia : non capisci che quelli « come noi » (passami il termine senza fare quella faccia supponente), costretti a sanguinare, nascono ? Perché, allora, finiscono per tamponare il fluire del sangue ? Perché hai paura di affondare il coltello ? Io, desidero tu lo faccia.

Sto divagando, e ancora ti odio per questo : per il tuo provocarmi anche solo pensandoti, e quel tuo modo sfacciato di non nascondere nulla. Fermo, non sto sbagliando, non mi riferisco a nulla di fisico : so quanto oceano si può contenere. Odio i tuoi occhi, quella loro trasparenza sfrontata che rispecchia ogni pensiero, ma lo fa in modo distorto, ambiguo, e per questo intrigante. Ciò è proibito, sai ? Dove eri quando la vita ce l’ha insegnato ? È pericoloso, e tu lo sai. Ma, come succede in me, questa consapevolezza altro non fa che fomentare la nostra naturale passione verso il proibito, il caos, dal quale ritirarsi sarebbe un delitto maggiore di quello che, inevitabilmente, si compie nell’abbandonarsi ad esso.

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