venerdì 9 maggio 2014

Sono colpevole, vostro onore. (Con un coltello da cucina)

Non ho mai accennato parola su quando, a novembre, mi tagliai i capelli con un coltello da cucina.
A dire il vero sono giorni che provo a non scrivere, ma adesso mi sono arresa. Mi sono arresa, perché il mio coraggio è riuscito nuovamente a stendere al tappeto l'orgoglio e a spingermi ad impugnare una penna, anziché a cercare un muro contro il quale sbattere la testa.
Da dove iniziare? Se fosse possibile, comincerei da tutte le parti. Mentre non avrei mai immaginato quanto potesse essere difficile esprimere a parole tutto ciò, mentre giuro solennemente di dire la verità, e voi dovrete credermi. Non ho mai raccontato del perché io scriva, forse non lo so nemmeno io, probabilmente perché quando smetto di farlo solamente perché mi pare d'impazzire, mi accorgo che qualora non accennassi mai più alla minima parola, non me lo perdonerei più per tutta la vita. Forse perché scrivere non è la cura, dal momento che ne ferisce più la penna che la spada, o quel famoso coltello scambiato per dei fiori. Mentre ancora ferisco coi silenzi per poi scusarmi per le uniche tre parole che riesco a dire, quelle che risultano essere le tre coltellate fatali.
Sono colpevole, vostro onore.
Ma colpevole di cosa? Onestamente: ho sbagliato? Cosa credete?! Anch'io, in quel momento, me ne stavo in disparte ad esaminare quell'esplosione di follia, quella caduta. E non mi ha spaventato per nulla. Certo, mi sono sempre chiesta cosa spinga me e pochi altri ad impazzire in questo modo. Non lo so, vostro onore, ma so cosa mi sta per dire. Mi dirà che per persone del genere, è proibito addirittura osare avvicinarsi più di cento metri, o pensare di poter entrare anche solo con un piede nella realtà.
Ne ero perfettamente consapevole. Ho capito di aver superato ogni limite e che oltre quel limite ci sarebbe stato il buio, ma ho anche capito che, alle volte, ci si trova davanti ad un salto nel vuoto e bisogna saltare per forza. Vostro onore, detesto chi non si lascia cadere salvo poi voler a tutti i costi spingere gli altri, mi può dar forse torto?
La verità è che quelle come me hanno tempeste dentro e si ostinano a dire che va tutto bene. Mentre ancora non capisco le persone che, quando qualcosa spaventa o si complica, scappano, per poi tornare, come usano fare le mode, i movimenti artistici, le manie e le nevrosi. Oppure, le si incontra anni addietro, in un giorno assurdo qualunque, con la spesa in mano, fingendosi più grandi e domandandosi come si stia, che poi, diciamocelo, non è la domanda chiave. "Tutto bene, naturalmente, io sto bene, esattamente come te, nevvero?"
Il fatto è che se potesse leggermi nella testa, vedrebbe che la distanza è molto più breve di quelle tre piastrelle che sembrano continenti e fusi orari. Il coraggio fa paura, paradossalmente.
La verità è che in me c'è da tempo qualcosa che sono sempre stata costretta a nascondere anche a chi avrebbe potuto capire. Mi è impossibile vincere la forza di repulsione che l'anima esercita quando vede un'altra anima avvicinarsi ed esporsi, vostro onore. Così, giuro solennemente di non aver avuto buone intenzioni quando ho pensato di aver già perso troppe volte, di aver desiderato di trovarmi dalla metà vincente, quella che sarebbe rimasta intera. Così, quando mi sono resa conto di essere io quella che si sarebbe disintegrata, il coltello non l'ho più usato per tagliarmi i capelli.

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