giovedì 11 settembre 2014

Non poterne vivere senza.

Ci fosse tuttavia data la capacità di comprendere il modo in cui si manifesti "la fine"…
Per qualcuno, questa arriva non appena qualcosa di completamente inaspettato fa irruenza nella propria vita. Per altri corrisponde ad un punto ben calcato e forzato sulla pagina di un passato da archiaviare, e solo chi ha dovuto imprimerlo, sa quanta forza e quanto dolore siano necessari per poterlo scrivere, quel punto. Solo chi ha provato ciò, può poi smentire il tutto, e dire che sto mentendo, che quella non è la "fine" ma puro "oblio", ed io non posso che dargli ragione. Così si cerca di far fronte a tale oblio. Per alcuni, ciò significa aggrapparvicisi, a quella fine, che tanto li fa a soffrire ma non al punto del coraggio dell'oblio, piegandosi inevitabilmente ai voleri di essa ed offrendovisi quando questa lo esige.
Altri son soliti scrivere lettere senza risposta, quando la pressione del dimenticare si fa troppo forte, e necessitano della presenza del destinatario, magari dall'altro lato di un tavolino traballante di un caffé, che tanto son tutti malfermi come noi. Mentre non piove e, tuttavia, la pioggia, a questo punto, non possiede più la capacità di influire in nessun modo sull'atmosfera, da quando è diventata uno stato d'animo ed è novembre tutto l'anno.
La fine.
Fa paura. Ad essa non ci si abitua: si cela, si nasconde, viene additata.
La mia fine, è questo qualcosa che non mi dà tregua, che mi porta letteralmente ad impazzire. E no, non so se provenga dal mio passato o meno. E sì, so che questa mia confessione vi ha lasciati basiti e conferma i vostri bisbigli. Ed io mai come ora, odio quel genere di persone che di questo tormento ne fan filosofia, apprestandosi a rifiutare e disdegnare la vita, la felicità, la naturalezza in nome di un vago ideale quale "lo stato ultimo" o qualcosa del genere… Coloro non possono fare altro che indossare la maschera del tormento ed impersonare una loro idea.
Ma signori, io mi chiedo, avete mai sperimentato sulla vostra pelle questo reale male che vi sveglia la notte, in un bagno di sudore, mentre chiude la trachea fino a rendervi quasi impossibile respirare e versare lacrime per allentare la sua morsa? Avete mai provato l'angoscia di trovarvi sulla metropolitana, circondati da persone, e voler solamente urlare alle voci dentro voi di tacere per un momento?
Io non credo.
E so che cosa stiate pensando: alcuni di voi che io vaneggi, altri che sia sotto psicofarmaci o chissà cosa. Non m'interesso più di cose di poca portata quali ad esempio il comun pensiero. Così come pure non mi curo più dell'analisi che si arroga il diritto di rendere comprensibili, dal punto di vista psicologico, i nostri comportamenti, paure, ossessioni.
Credo in poche cose, e son quelle a cui mi aggrapo in periodi "neri spettacolari", come cantava qualcuno. Credo nei libri e nei tramonti e in ciò che può aiutarmi a dormire, giacché non è più tempo per la mia tanto amata insonnia. Credo nella filosofia, non come risoluzione o spiegazione del concetto di "fine", ma per trovar rassicurazione nelle inquiete parole già scritte da qualcun altro su quanto sia complicato sopravvivere ai propri fantasmi e, tuttavia, non poterne
vivere senza.

lunedì 8 settembre 2014

Il bisogno di morire di crepacuore (per scrivere)

Forse è tempo che io vada via, forse è giunto il momento in cui non si può più cambiare veramente nulla senza andare. Ma non come un Kerouac moderno o quei libri che tanto ama leggere la parte di me che sogna ancora, senza riuscire mai a finirli per non poter arrivare a Denver, o a New York, e cominciare a scrivere, dal principio, di ciò che è stato…
Non m'interesso di nulla in particolare, ora come ora, che si possa in un certo qualmodo avvicinare alle tanto amate ossessioni che ho avuto in passato: quasi una per stagione, come quando mi fissavo su un alimento in particolare e andavo avanti a mangiare quello e solamente
quello fin tanto che, da un giorno all'altro, non decidevo di cambiare l'oggetto della mia morbosità. E, paradossalmente, scrivo di non scrivere neppure più. Attorno, un silenzioso frastuono di grumi di sogni estirpati, qualche disco, una o due lettere mai spedite, un quadro mai consegnato, e tre libri mai finiti. Quando sarò capace d'amare, il conto forse tornerà… Mettete qualche birra in più, che possa fungere da alibi per scrivere nuovamente, togliete l'inibizione, così che io possa dire solamente ciò che si reputa essere verità, aggiungete il fatto che possa essere presa sul serio o meno, e togliete il mio sguardo, mentre dirò che non ero in grado d'intendere e di volere. Che poi si può anche fingere, quest'ebbrezza, e si può fingere di crederci.
Posso scrivere dell'eccesso d'amore possiedo entro me, senza riuscire a poterlo donare a qualcuno che possa restare. Posso scrivere di come i tramonti visti in periferia siano bellissimi ed ogni volta che esco per potermeli godere mi ricordo di quel passo del "piccolo principe" dove lui ne parlava e accennava al fatto che si ama il calar del sole quando si è tristi. Posso scrivere di come ci si può innamorare, in un giorno qualunque, nel giro di una fermata di metro di occhi sconosciuti che resteranno per sempre tali. Oppure, posso dire che il punto è che, nella vita, nessuno ti prende, ti fa un bagno caldo e t'insegna a vivere.

Confessando poi che sì, le mie storie d’amore hanno la resistenza dei fiori sotto ai temporali, ed io ho desiderato più volte di poter vivere di scrittura, e perciò non m'importa minimamente dello sfaldarsi di quei petali, perché ho bisogno di morire di crepacuore, per poter scrivere. Potrei poi scrivere di quanto coraggio mi ci voglia a decidere di partire, ora come ora. Di quanto sia complicata la nostra mente ed i fantasmi non ci lascino in pace nemmeno se glielo chiediamo in ginocchio. Che la verità si legge su di un volto di sei apparenti anni in più della sua reale età, si evince da dei capelli troppo corti e chiari per poter evitare di perderne il più possibile per strada e convincersi di poter cambiare, per l'ennesima volta, senza chiedersi se in meglio o in peggio, che poi son solo punti di vista. Posso scrivere di ciò di cui la gente non ha il coraggio di parlare, ma si limita ad osservare e bisbigliare, ma non so quanto questo possa tornare utile, dal momento che ho scritto tanto senza riflettere a dove attaccare le mie parole. 
Oppure, posso prendere un bel respiro profondo e, dalla fine, a ritroso, cominciare. Giacché non si può comprendere l'inizio, fin tanto che non si giunge alla fine.

sabato 2 agosto 2014

Senza titolo (...mentre Alice mi osserva con gli occhi spalancati.)

Parlo di cose a caso, scrivendo a testa in giù, scrittura mista su lenzuola bianche, sconvolta dal sangue che scorre al contrario. Mentre ora, penna alla mano, fuggono anche i mostri sotto al letto incrociando lo sguardo traslucido da cui traspare ciò che riesco a nascondere tra le articolazioni, fin tanto che il sangue non finisce per colare di blu tinto sul foglio bianco. E il coniglio s’è allontanato, perché non esiste più tempo e non è più tempo di chiedersi quante volte io abbia inserito delle parole irrisorie nei miei scritti, solamente per compiacere il ritmo e nascondere i reali pensieri.
Ma stanotte no, stanotte non dormo, mentre Alice mi osserva con gli occhi spalancati dalla sedia sulla quale è costretta, mentre perdo il filo, che tanto è novembre tutto l’anno. Scrivo, perché impulsi del genere esistono a prescindere, anche se non son certo i benvenuti, anche se somigliano alla parte di me dentro lei e da lei odiata, stimoli così cruenti non se ne vanno, ma rimangono immutati come dei moderni ritratti di un Dorian Gray nostro alter ego: scrittura, musica, pittura, non ha importanza alcuna. Ognuno di noi possiede un’ombra, e il più delle volte è proprio da essa che si generano paure e splendori. Ipnosi o psicosi, che differenza fa? Qual è il confine tra reale e non? Censura.
Censura di pensieri densi come petrolio che colano entro noi, rendendoci difficile respirare, inspirare, ispirarci. Mentre sappiamo l’eternità essere solo un modo di dire, mentre l’odio o amore che sia, che riuscivo a provare si è da tempo trasformato: gli ho messo una maschera d’ossigeno, ma non so se ce la farà. Ed io avrei così tanto da dover esprimere, ora che finalmente l’altra parte di me mi guarda inerme, zittita da del nastro adesivo. Ho da dire che, talvolta, la dignità di voltare le spalle ed andarsene per la propria strada viene fraintesa con vigliaccheria, che chi questa dignità non possiede ripercorre le proprie orme finché queste non giungeranno nuovamente ad un punto di rottura. Ho da dire che, chi non parla, non autorizza chicchessia a parlare di sé, ma forse lo fa semplicemente perché non ha nulla da dire; oppure è troppo stanco di esprimersi per codici socialmente accettati, quando ciò che ha dentro lo spingerebbe ad impugnare una pistola. Ho da dire che talvolta si guarda lontano buttando via ciò che di prezioso ci circonda per paura di guardare dentro sé. Che i fantasmi del passato tornano a farci compagnia e non vogliamo ammettere quanto alle volte ciò ci faccia piacere. Ho da dire poi che…

Ipnosi, psicosi la differenza sta in quanto stretto si lega se stessi ad una sedia. Non era abbastanza.

mercoledì 28 maggio 2014

E il resto è ruggine e polvere di stelle.

Lo so, sorellina, so che avevi passato mesi a convincerti di riuscire a non fidarti più di nessuno. So pure che son veramente rare le occasioni, e ancor più le persone, con le quali hai deciso tuo malgrado di non chiuderti a riccio. Conosco pure come ti senti ora, mentre mi dici con rabbia che, se una persona riesce a lasciar cadere un poco le sue difese, bisognerebbe tenerne conto e non muoversi come degli elefanti in una cristalleria. E accidenti, bisognerebbe saperlo fare, di tenerne conto, e invece…
Sai, io stessa ho passato mesi a cercare di vaccinarmi, di mettere sotto formalina i miei sentimenti, convinta di poter così diventare forte ed inflessibile ad ogni palpitazione del cuore che attribuivo al mio consumo sconsiderato di caffé. Ho poi passato mesi a combattere l'insonnia e altrettanto tempo a convincermi di non provare nulla se non sentimenti incerti. La verità? Valla a sapere…
So solo che, tutto ciò, si è rivelato essere ben poca cosa se ogni volta che ho fatto appello alla ragione, questa mi ha sempre rinviata al sentire. Così, mi sono accorta d'esser negata ed annegata nel mio tentativo, perché difese come quelle, crollano al primo soffio di vento, o messaggio inatteso.

Sorellina, tu sei come me: ti capita raramente di voler del bene a qualcuno, ma se lo fai, è sempre a fondo perduto. Ti parlo di tutto ciò proprio perché, a riguardo, non mi resta più nulla da dire e questo è il momento in cui le parole si sono consumate, e il silenzio può cominciare a raccontare. È quel momento in cui senti di non poter non solo più far nulla, ma anche pensare di poter fare qualcosa: l'unico momento buono per poter tornare a respirare, a riattaccarti i pezzi di te che ti son stati strappati per l'ennesima volta, ma con un sorriso, perché c'è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce.
Sorellina, esci: è già nuovamente primavera, e il dolore non ha diritto di sorprenderti seduta a terra, col viso tra le mani. Non contare su nessuno: io ho perso il conto di quante volte sono caduta in mille pezzi davanti a tutti, e nessuno si è degnato non dico di aiutarmi a rialzarmi, ma anche solo di avvicinarsi. Nessuno. Per questo mi sento di scrollarti, di prenderti per la felpa ed esortarti ad alzarti e a smettere immediatamente di essere buona con tutti. Alzati e volta le spalle a chi finge di volerti bene, a chi non sceglie mai, a chi non ha mai paura, a chi dice di esserci. Certo, in teoria ci sono tutti, ma in pratica, dove sono? Non fare sconti a nessuno. O ci si è, o no. O si è dentro, o fuori. Tu hai bisogno di qualcuno che resti, non di un prestigiatore.
So cosa mi risponderai, ora: che se noi non siamo abituate a chiedere a nessuno di rimanere nella nostra vita, non è detto che non desideriamo che questo qualcuno vi resti. Sai cosa ti dico? Se qualcuno tiene a te, rimane a prescindere. Se qualcuno veramente tiene a te in qualsivoglia modo, ti prende in braccio o non ti lascia andare via, qualora tu possedessi il mio stesso impulso alla fuga. Chi tiene a te lo dimostra. Non credere ad una sola parola: lo fa a gesti. Io sono nauseata dalle belle parole. Anche il complimento più disinteressato mi suona come l'ennesima bugia, sarà che di belle parole ne ho sentite fin troppe, sarà che chi a parole diceva di morire per noi, ancora respira. Anche quelle delle canzoni, sorellina, non credere nemmeno a loro. Le canzoni, in fin dei conti, non servono a nulla: ci si salva sempre e solo da soli.

Alzati, sorellina. Noi siamo fatte così: sentiamo il doppio, e spesso, questo ci si rivolta contro. Ma ti svelo un segreto: siamo anche fortissime. So che eri cosciente del fatto che tutto ciò fosse sbagliato, sbagliatissimo, e che sarebbe poi finito a spargimento di sale sul tuo cuore. Ma pur sapendo, l'hai fatto. Consapevole di sbagliare, hai perseverato nell'errore: ne hai avuto il coraggio. E tutto ciò, perché ti rendeva felice. Come puoi non esser fiera di te stessa? Certo, ora sei ancora lì, seduta. Ma sai qual'è il bello? Che chi ha il coraggio di lasciarsi cadere, si rialza sempre. Certo, prima bisogna lasciare che il male passi, allora urla, piangi, sentiti morire un po' dentro: lasciagli fare il suo corso. Noi possiamo cadere centinaia di volte, ma ci rialziamo. Ogni volta un po' più leggere, un po' più acide, ma ci rialziamo sempre.
Non ti dirò che ciò che non ti uccide fortifica: non ci credo nemmeno io. Ma ti dirò che puoi far sì che ciò che non ti ha ucciso a suo tempo, si penta di non averlo fatto quando ne ha avuto l'occasione.

"E se non passa?"
"Se non passa, ci passi sopra tu."

venerdì 9 maggio 2014

Sono colpevole, vostro onore. (Con un coltello da cucina)

Non ho mai accennato parola su quando, a novembre, mi tagliai i capelli con un coltello da cucina.
A dire il vero sono giorni che provo a non scrivere, ma adesso mi sono arresa. Mi sono arresa, perché il mio coraggio è riuscito nuovamente a stendere al tappeto l'orgoglio e a spingermi ad impugnare una penna, anziché a cercare un muro contro il quale sbattere la testa.
Da dove iniziare? Se fosse possibile, comincerei da tutte le parti. Mentre non avrei mai immaginato quanto potesse essere difficile esprimere a parole tutto ciò, mentre giuro solennemente di dire la verità, e voi dovrete credermi. Non ho mai raccontato del perché io scriva, forse non lo so nemmeno io, probabilmente perché quando smetto di farlo solamente perché mi pare d'impazzire, mi accorgo che qualora non accennassi mai più alla minima parola, non me lo perdonerei più per tutta la vita. Forse perché scrivere non è la cura, dal momento che ne ferisce più la penna che la spada, o quel famoso coltello scambiato per dei fiori. Mentre ancora ferisco coi silenzi per poi scusarmi per le uniche tre parole che riesco a dire, quelle che risultano essere le tre coltellate fatali.
Sono colpevole, vostro onore.
Ma colpevole di cosa? Onestamente: ho sbagliato? Cosa credete?! Anch'io, in quel momento, me ne stavo in disparte ad esaminare quell'esplosione di follia, quella caduta. E non mi ha spaventato per nulla. Certo, mi sono sempre chiesta cosa spinga me e pochi altri ad impazzire in questo modo. Non lo so, vostro onore, ma so cosa mi sta per dire. Mi dirà che per persone del genere, è proibito addirittura osare avvicinarsi più di cento metri, o pensare di poter entrare anche solo con un piede nella realtà.
Ne ero perfettamente consapevole. Ho capito di aver superato ogni limite e che oltre quel limite ci sarebbe stato il buio, ma ho anche capito che, alle volte, ci si trova davanti ad un salto nel vuoto e bisogna saltare per forza. Vostro onore, detesto chi non si lascia cadere salvo poi voler a tutti i costi spingere gli altri, mi può dar forse torto?
La verità è che quelle come me hanno tempeste dentro e si ostinano a dire che va tutto bene. Mentre ancora non capisco le persone che, quando qualcosa spaventa o si complica, scappano, per poi tornare, come usano fare le mode, i movimenti artistici, le manie e le nevrosi. Oppure, le si incontra anni addietro, in un giorno assurdo qualunque, con la spesa in mano, fingendosi più grandi e domandandosi come si stia, che poi, diciamocelo, non è la domanda chiave. "Tutto bene, naturalmente, io sto bene, esattamente come te, nevvero?"
Il fatto è che se potesse leggermi nella testa, vedrebbe che la distanza è molto più breve di quelle tre piastrelle che sembrano continenti e fusi orari. Il coraggio fa paura, paradossalmente.
La verità è che in me c'è da tempo qualcosa che sono sempre stata costretta a nascondere anche a chi avrebbe potuto capire. Mi è impossibile vincere la forza di repulsione che l'anima esercita quando vede un'altra anima avvicinarsi ed esporsi, vostro onore. Così, giuro solennemente di non aver avuto buone intenzioni quando ho pensato di aver già perso troppe volte, di aver desiderato di trovarmi dalla metà vincente, quella che sarebbe rimasta intera. Così, quando mi sono resa conto di essere io quella che si sarebbe disintegrata, il coltello non l'ho più usato per tagliarmi i capelli.

giovedì 1 maggio 2014

Chiedimi se abbia mai amato qualcuno.

Ciao sorellina, è parecchio che non ti scrivo. Perdonami.
Ultimamente non mi succede nulla di che, è solo che sono stanca di parlare di me e di mentire a riguardo, odiando poi chi mente su cose di questa portata. Sono stufa di dire cosa penso ma mai fino in fondo, di omettere come sto mentre esplicito come io credo di stare.
Capiterà anche a te, sai? Capiterà anche a te di ritrovarti a correre sotto la pioggia, con le scarpe da ginnastica fradice, per cercare di scaricare a terra la rabbia come usano fare i fulmini.
Ti capiterà, perché saprai quanto devastate sia odiare chi tace i propri sentimenti e non si lascia cadere nel vuoto, salvo poi accorgerti di essere tu la prima a stare in bilico sul cornicione.
Oppure non accennerai nemmeno ad avvicinarti al bordo, chiedendoti solamente quanti passi ti separino dal salto, di quanti battiti è composto un sentimento, e rimandando. Sai, è solo quando fai ben attenzione a non perdere la testa, a non fare un passo sbagliato per non scivolare, che l'hai già persa da un bel pezzo cadendo. Qualora dovessi vederti esitare, non ti spingerò certamente, ma ti farò solamente notare che sì, così è tutto apparentemente più leggero, salvo poi chiederti se credi che ciò sia realmente meglio.
Io stessa non ho idea quanti battiti il cuore debba saltare per riuscire a far sì che tu possa esprimerti, ma so che quel tempo non è certamente di quattro quarti, perché, altrimenti, almeno a qualcun altro, non farebbe paura.
Cercherò poi di ricordarti che ci fu anche chi, aspettando il treno giusto, finì per passare la vita alla stazione sbagliata…
Sorellina, sentiti libera di chiedermi se io abbia mai realmente amato qualcuno, così che possa risponderti di no. Io credo di non aver amato nessuno mai, tranne qualcuno, sia ben inteso.
E non crederti in torto se proverai rabbia nel sentirti chiedere indiscretamente se sia per caso tu "quella" ragazza più giovane, perché la gente parla fin tanto che non trova qualcosa da dire e perché lui dimostra fondamentalmente i suoi anni, mentre tu non sai più quanti sono i tuoi… Ma gli occhi, loro, sono della stessa dimensione, te lo giuro.
Sai, se fossi Battiato, ti direi che ti proteggerei dalla paranoia e dall'ipocondria, dagli sbalzi d'umore e dalle lune distorte. Ma non posso fare altro che esortarti a desiderare qualcuno al tuo fianco che ti vesta, giacché, diciamocelo, a spogliare son bravi tutti.
Ti ricorderò poi che nulla dura troppo a lungo e che, anche se entrambe lo sappiamo, a questo,
non ci si abitua mai.
E proprio non so dirti altro, amore, se non confidarti un ultimo segreto: quelle come noi, non sanno abbandonare.

martedì 29 aprile 2014

Siamo come soldati.

Fuori dalla finestra piove ancora, mentre io cerco di mettere nelle scatole di cartone gli ultimi frammenti dei miei scheletri che ho tolto dagli armadi. Dentro me è uno scrosciare ininterrotto di pensieri che fanno esondare i miei fiumi sottocutanei in piena. Tutto questo perché, ogni tanto, ti penso spesso.

Perché sto recitando una parte che non mi appartiene e non riesco a calarmi totalmente nel ruolo: rimangono sempre gli occhi trasparenti coi quali non riesco a mentire, perché così io non mi riconosco, perché nel momento giusto non ho trovato parola alcuna nonostante fossi piena di cose da dire.
Sarà l'età, sarà che sento di avere bisogno di una piccola rivoluzione a partire dall'idea della prima colazione… Sarà che abbiamo in comune delle grandi similitudini che possiedono il potere di dividerci e, al contempo, di unirci. Forse sono solo grandi nevrosi.
Forse è la comune sofferenza circa il non amare quel vivere a metà del quale si accontenta la maggior parte della gente, e lo osserviamo da fuori, come qualcosa di estraneo ai nostri percorsi. Voglio dire, se ti vedessi per strada un giorno per caso, senza conoscerti, probabilmente resterei a osservati tutto il tempo, come succede con quelle persone che a volte mi capita di scorgere in stazione: quelle persone che incroci e non dimentichi più, forse perché hanno qualcosa che non hai mai visto in nessun altro.
Perché sto scrivendo tutto ciò? Non ne ho idea alcuna. Mi piace pensare che prima o poi questa marea di parole mi porterà a saper rispondere spontaneamente a quella domanda che potrebbe avvicinarmi più di cento passi e dalla quale continuo a fuggire rifugiandomi in un silezio ermetico. Mi hanno però portata a cercare di rispondere a tono ad un'affermazione di due giorni fa circa il bastare. Avrei dovuto dire che, se una persona capita di confonderla con la gente che si incontra, e si prova l'impressione penosa che questi individui non possano valere minimamente quella singola
compagnia, un'affermazione circa il non bastare altro non è che una  scusa, o una paura. E questa è la risposta più diretta che io riesca a scrivere.
Non mi sono persa, stavolta. Sono ancora qui, a sigillare scatoloni e parole, e a ripetermi di lasciarmi andare, perché a voler essere padroni di tutto, si finisce col diventare padroni di nulla. Perché le emozioni non hanno padrone e non temono il minimo controllo… subiscono. Subiscono e, quando si esagera, scoppiano come le guerre.
E allora, "dimmi tu cos'è, se questa non è guerra."