martedì 30 aprile 2013

Meglio tardi che mai. (No. Tardi non è meglio. È tardi.)

Non chiedete come io stia, non ha importanza alcuna. Chi mi conosce lo percepisce. Chi pensa di conoscermi s'illude che quel sorriso sia reale. Non sono sul punto di crollare a terra, anche se le gambe cedono e lo stomaco si contorce pur di non lasciare piovere gocce salate dagli occhi.
Così sto.
Forse arrabbiata, ma si sa, quando la rabbia viene trattenuta troppo a lungo, scava un fosso. Dentro, ci andranno a finire tutte le parole non dette al momento giusto. Le urla taciute. Le proprie ragioni mancate. Un giorno, però, sarà troppo pieno e straborderà.
So che lo farà, come so di essere un casino, so che sono più incline agli schiaffi che alle carezze: le ho sempre respinte tanto che ora, per la prima volta, ne sento la mancanza. Ora che tutte le difese lentamente, una dopo l'altra, crollano.
Ora che spingo via tutti dalla mia vita, mentre tutto quello che vorrei è che loro lottassero per restare. Nemmeno io riesco a sopportarmi: la testa piena di pensieri senza che nessuno si tramuti mai in parole. Insopportabile.
Il fatto è che se nessuno ti parla, si finisce per pensare, e la vita va a rifugiarsi tutta nei pensieri. E io non faccio altro. Penso. E continuo a pensare che, quando uno s'innamora, non debba dirlo a nessuno.

Penso che bisognerebbe pensare di più alle volte, prima di agire perché dopo è tardi. E non è vero che è meglio tardi che mai: tardi non è meglio. Tardi è tardi. Penso che il coraggio sia la voglia di alzarsi dal letto ogni mattina e uscire. Penso che le persone silenziose abbiano gli occhi che fanno rumore per loro. Penso di essere stata troppo per alcuni. Troppo orgogliosa. Troppo antipatica, silenziosa, insicura. Troppo disordinata, emotiva, dolce. Poco romantica. Sono stata troppo. Senza essere mai abbastanza.
E sono consapevole che questa rabbia, un giorno, esploderà. Magari lo farà in un momento qualsiasi, di un giorno qualsiasi, senza che accada nulla di particolare. Lo farà talmente inaspettatamente che la gente si chiederà se io non sia impazzita.

lunedì 29 aprile 2013

La Primavera (non è mai stata così fredda)

"Come stai?"

(Il fatto è che non lo so nemmeno io. Non c'è nulla che la nebbia non abbia ricoperto: lei divora ogni cosa. E, in fondo, il nero è il colore che ho dentro.
Sto. Sto qui, lontana dalla perfezione, dall'equilibrio e da me stessa. Consapevole di essere una persona definita difficile. Difficile per gli altri: una di quelle indecifrabili per chi la legge in superficie. Eppure devo molto a queste persone, davvero.
Devo molto a chi ho odiato, a quelli che non amo e non amano me. Gli devo molto per il semplice fatto che non devo loro nulla, perché mi hanno reso talmente fragile da farmi apparire più forte che mai. Ringrazio chi mi ha fatto scoprire l'odio, chi mi ha amato e usato, chi mi ha detto "ti voglio bene" credendoci e chi invece l'ha fatto solo per i suoi sporchi comodi. Li ringrazio perché ho sempre trovato la forza di rialzarmi.
 Forse è anche per questo che risulto essere una di quelle persone distanti dal mondo, un po' distratta perché distrutta.
Per questo vengo giudicata antipatica, quella a cui non importa nulla di nessuno. Già... Quanti "non importa" ho detto in risposta, quando invece importava molto. Ma le persone si fermano sempre lì. Sul ciglio dell'acqua degli occhi, si fermano a quello che decido di mostrare. Eppure io non aspettavo altro che qualcuno che mi spogliasse dalle mie paure.
Per questo credo che non ci sia niente di peggio che avere rabbia e ragione per il fatto di commettere sempre lo stesso errore: quello di pretendere di salvare alcune persone, quando in realtà l'unica cosa che dovrei fare è salvare me stessa da loro.
Sono al limite. Sai quando ho scoperto di essere sul ciglio? Quando ho cominciato a piangere per delle stupidaggini. Quando una parola detta al momento sbagliato, un gesto insignificante mi ha colpito nel profondo. Non credo di essere così debole, ma so di aver sopportato per troppo tempo. So di aver detto troppi sì, quando avrei voluto solamente dire no. Il problema è di aver sempre risposto "sto bene". E la primavera non è mai stata così fredda.)

"Sto bene, grazie."

domenica 28 aprile 2013

L'odio (Perché non si deve piangere)

Scrivo perché è quello che meglio riesco a fare quando non rimane più niente. Non rimane più niente perché l'odio rade al suolo qualunque cosa, infestando il terreno per sempre. Altro che Hiroshima. Odio. Odio che tutto ciò accada intorno a me e io sia capace solamente di restare a guardare. Odio continuare a perdermi nel mondo senza avere nessun sistema di autodifesa e lacerandomi sempre un po' di più l'anima. Le ali? Quelle se ne sono cadute da un po', tanto che sono cicatrizzati pure i tagli.
Odio chi crede di aver capito e invece non ha capito proprio niente di me. Chi non sa cosa significhi esser comune rosa e aspirare all'orchidea. Odio, perché mi hanno insegnato che non si deve piangere, ma bisogna farsi valere. Il problema è che chi fa credere d'esser forte finisce per convincere la gente del fatto che lo è veramente. E nella vita o si vince o si perde. Nella vita non esistono vie di mezzo perché la vita è una sola e già questa non basta. Io ci ho provato, a non piangere. Ma ora sono fragile ed è inutile a continuare a fingere. In fondo, tutti lo siamo, e non ammetterlo non ci rende certo più forti. Odio i ricordi perché quelli restano. E il tempo non cura un bel niente.
Eppure, finché sento il senso dell'odio forse sono ancora viva. E basta chiedermi se sto bene o male. è palese: gli occhi rimangono sempre. Anche quando c'è solo la cenere, la pioggia, e un piatto di minestra che si vorrebbe gettare a terra.
E odio il fatto di non riuscire nemmeno più a scrivere.

giovedì 25 aprile 2013

Ciò che si finisce per diventare (pur di rimanere in piedi)

Se solo fosse possibile cominciare la giornata ordinandosi: "Oggi niente pensieri negativi". Ma la vita non è così. Non si può neppure chiedere al sole di splendere meno, o alla pioggia di cadere più insistentemente. Così come non posso uccidere i pensieri che vivono nella mia testa, nei quali la vita si rifugia: non posso sparargli addosso anche se sarebbe un atto di pura e legittima difesa.
Non si può cambiare da un momento all'altro e non è vero che se ciò non accada così tempestivamente non succeda più. Cambiare si può, ma ci sono dei momenti nella nostra via dove non ne è ancora il momento, dove non vi è ancora l'occasione
Come non è il momento delle parole, anche perché esiste un certo tipo di silenzio in cui le parole non sono necessarie, un silenzio che non segnala una fine ma l'inizio della comprensione per chi è in grado ci decifrarlo. Chi non ne è capace si affannerà inutilmente. Perché alle volte quello che non si può, che non si riesce a dire con le parole lo si esprime stando in silenzio, e quindi non è vero che chi non dice nulla è perché non sa che dire. Chi sta in silenzio è perché forse ha troppo da dire: un fiume in piena che lasciato andare romperebbe gli argini e l'acqua distruggerebbe, farebbe cadere tutto ciò che sta attorno. Il problema non è il cadere, mi sono sempre rialzata anche se a fatica: il problema sono i pezzi che perdo ogni volta in cui mi ritrovo a terra. Il problema è quello che finirò per diventare pur di rimanere in piedi.
Il problema è che ogni volta che cerco di apparire forte, sicura di me stessa, inciampo nei miei stessi tentativi e mi chiedo chi mai possa cascarci, chi io possa prendere in giro, così ritorno ad essere quella di sempre. Quel disastro caotico, confuso, senza organizzazione, ordine, emotivamente fragile: troppo fragile. Acida, scontrosa, ma che quando sente un'emozione la sente con tutta se stessa e forse questo è il suo più grande difetto. E vorrei essere orchidea, piuttosto che dente di leone sfiorito al quale basta un soffio e si distrugge in mille pezzi. E avrei voluto essere una brava figlia, una brava studentessa e una brava fidanzata. O almeno, una delle tre cose.
Non è ancora tempo di cambiare: il cambiamento è un lento processo. Ma arriverà il giorno in cui questa pelle seccherà al sole e cadrà e smetterò di portarmi addosso tutti gli strati morti di una vita.

martedì 23 aprile 2013

"Ti è passata?" Come se l'amore fosse una malattia. (Essere ombra a Primavera)

Non sono infastidita, arrabbiata con questa primavera altalenante. Non inveisco contro questo sole indeciso che quando decide per spendere è una pugnalata alla mia pelle troppo bianca. So bene che il mio sentirmi ombra non lo fermerà. Non ho rancore per quanto scrivevo un anno fa, quando la Primavera non era una semplice stagione, ma una scelta da prendere.
Ce l'ho a morte, invece, con le parole che restano in gola e non si sciolgono nemmeno sotto questo sole spietato. Porto rancore verso quelle persone che sono incapaci di andare oltre, di comprendere perché uno si stia ricoprendo di aculei. Verso chi giudica, manco ne avesse il diritto, in base alle pure azioni.
Pensateci, quante volte basta mettere una maschera sorridente, dire un "ciao" e per tutti si sta bene? Sono arrabbiata con la gente che mi chiede "ti è passata"? Come se l'amore fosse una malattia.
Sono arrabbiata perché consapevole che si guarisce da qualcosa solamente ammalandosi di altro.

Contro chi crede che io sia forte, insensibile. La verità è che nessuno capisce mai nulla. Non sono forte: non lo sono mai stata. Mi rompo continuamente in mille pezzi, solamente che ho imparato a farlo silenziosamente, senza rumore alcuno. Però sono al contempo fortissima. Lo sono perché le persone veramente forti passano notti intere piangere e il giorno dopo sorridono come se nulla fosse successo. Perché la gente è ignorate, non capirebbe mai qualcosa che vada minimamente oltre al tangibile. La gente è di un'ipocrisia esemplare.
La gente.

Poi ci sono le rare eccezioni. Come lui. Quelle rare persone capaci di andare oltre. Quelle che raccoglieranno sempre anche il più piccolo pezzo di te per rimetterti insieme. Quelle che ti convinceranno del fatto che tu non sei il disastro, il fallimento che credi e che gli altri sostengono tu sia.
Io ne ho incontrata una tempo fa. E ora, in questi giorni lontani da casa mi viene in mente quando poche settimane fa mi hai insegnato a usare la frizione. Mi hai obbligata a non pensare al male, ma solo ad andare per la mia strada. Sai, mio padre aveva già provato a spiegarmi il meccanismo, ma nulla da fare: un disastro. Poi sei arrivato te, mi hai spiegato come fare senza giudicare, e tutto è sembrato più facile.
In fondo, che può essere vivere, rispetto a guidare una macchina? Non lo so. Forse nemmeno tu, vero? E allora cerchiamo di spiegarci come si fa.
 

giovedì 18 aprile 2013

Scrivere dovrebbe essere come fare l'amore. (Il coraggio di esprimersi)


Mi trovo nuovamente seduta su quella poltrona, la coperta sulle spalle, a pensare a cose insignificanti: “ho bisogno di qualcosa che non sia di questo mondo”, ricordate? E ancora non capisco perché io stia scrivendo, quale impulso m’induca a gettare su carta i miei sentimenti nero inchiostro. In fondo, non mi dà sollievo alcuno: uno deve scrivere per svuotarsi, scrivere dovrebbe essere come fare l’amore… eppure, eppure non è più così. Ho perso le parole per strada, o forse ne ho troppe e non riescono a uscire in maniera comprensibile a me stessa, figuriamoci al resto del mondo. Eppure voglio capire. Voglio capire perché, alla fine, la penna è sempre più veloce della mia decisione di non scrivere. Ci sono state persone che hanno cercato di leggermi, ma le mie emozioni non erano in saldo, chi ha giudicato solo dalla copertina, chi non ha avuto il coraggio di leggere oltre la prima pagina. Magari arriverà un giorno qualcuno capace di leggermi veramente: dall’inizio fino alla fine. Magari. E che coraggio dovrà avere!

Ci vuole coraggio, in questa esistenza: ci vuole un coraggio incredibile per alzarsi dal letto ogni mattina, per indossare una maschera che faccia sì che la gente non faccia domande. Ci vuole ancora più coraggio, però, per esprimersi, per non nascondere la propria fantasia, il proprio amore. Non nasconderli perché lavorare di fantasia, alle volte, è l’unica cosa che rimane per salvarsi, certo, un trucco insulso, ma di sicura riuscita. L’amore, invece, è tutt’altra questione: l’amore non bisognerebbe nasconderlo mai, forse in periodi in cui ci si rende conto di quanto si è labili, come in questa primavera di cieli instabili, bisognerebbe celarlo dietro un trucco più pesante, dietro vestiti scuri e capelli disordinati. Senza però coprirlo più di quanto basti, poiché alle volte c’è qualcuno che deve poterlo scorgere, dal momento che non ci si salva mai da soli.

Forse la soluzione a tutto sarebbe semplicemente rendersi conto di essere vivi e farsi bastare questa presa di coscienza. Ma una vita non basta. Non basta mai. Come anche un foglio bianco e l’inchiostro di una penna non riusciranno mai a esprimere appieno cosa si cela dietro a quella pelle smunta e occhi di ghiaccio. E ancora non so perché io scriva ancora giacché la vita, alle volte, gira in un modo che non c’è proprio più niente da dire.

domenica 7 aprile 2013

Primavera ad ogni stagione. (La tristezza di non poter piangere)


Incredibile come la vita ci cambi. Lo fa quando meno te lo aspetti. E comunque vada, rimaniamo noi: gli occhi rimangono sempre, ricordate?  A me rimane tutto quello che ho sempre ricavato per sottrazione perché l’unico amore che torna è quello che dai incondizionatamente. Quello di una madre, di quei pochi amici veri: quelli che non giudicano e se dovessero farlo risulteresti perfetta anche se confessassi di avere appena ucciso una persona. Gli amici che puoi anche non sentire per mezza vita ma se li cerchi in una notte troppo buia correranno da te, quelli che ti staranno accanto con delicatezza, sollevandoti se mai cadrai.

Rimane tutto quello che resta dopo quell’istante dove ho guardato in basso e avevo i piedi nel cemento. Ed è stata crisi, crisi senza lacrime. Esiste anche la tristezza di non poter piangere a calde lacrime perché la gente farebbe troppe domande alle quali non ho voglia di dare risposta alcuna, perché non è ancora il momento in cui tutto può ricominciare. È una di quelle sensazioni che non si riescono a spiegare e anche se lo si facesse perfettamente in pochi capirebbero.

Ci si affeziona anche al dolore, persino alla disperazione: il fatto che il dolore stia passando provoca sgomento. Perché crediamo significhi, una volta di più, che tutto, veramente tutto finisce. E vorresti piangere mentre cammini per strada, in piscina, su un libro o dentro un cuscino. Vorresti che le lacrime sgorgassero improvvisamente senza che tu possa fare nulla per arginare quel fiume in piena.

Vorresti piangere perché è qui che inizia tutto, o ricomincia. Perché ci vuole coraggio per guardarsi così: in preda alle emozioni, i mille pezzi e righe nere di rimmel sulle guance. È da qui che si ricomincia perché tutti noi possediamo un istinto che, una volta lasciato tutto alle spalle, ci trascinerà sempre avanti. Ma, per poter fare questo, c’è bisogno del tempo: il tempo rende tutto più leggero. C’è bisogno del tempo perché una tristezza troppo profonda non può prendere la forma delle lacrime. Però, una volta passato questo, sarà primavera. Primavera ad ogni stagione. Ed è incredibile come la vita cambi, ci cambi, mentre noi siamo tutti concentrati a cambiare lei.

Questa neve si scioglierà.

lunedì 1 aprile 2013

Non muore mai quello che sei. (Sorellina fa tremare ogni cosa.)


È molto che non ti scrivo e per questo mi scuso, sorellina mai nata.

Ho vissuto molto, conosciuto persone, ho provato a perdermi, mi sono assordata di musica nell’allucinata calma notturna. Avrei voluto fare cose diverse, ma la vita non è così ed è inutile piangersi addosso. L’errore non esiste, sorellina. L’errore è come la paura: pura invenzione.

Sappi che non le favole sono mere illusioni, che cadrai a terra rovinosamente: è inevitabile. Alzati sempre. Azzardati a correre anche se hai solo imparato a camminare, grida al cielo se nessuno è lì ad ascoltare e fatti sentire: fallo tremare. Fa tremare qualunque cosa tu incontri sul tuo cammino: basta uno sguardo.

Questa vita è spietata e tu devi imparare a farci i conti, a bleffare nel momento giusto vincendo la partita. E fai in modo di non dover ringraziare nessuno per quello che diventerai, per dove arriverai. Impara a ricordarti di dimenticare, dimentica di essere per poter diventare. La vita è un continuo divenire e non esiste né un meglio né un peggio o tanto meno il paradiso o l’inferno.

Dimentica tutto: ciò che ti fa male, le preoccupazioni, le lacrime lasciale scorrere a patto che siano di gioia. Sii sempre felice già del semplice fatto di essere viva e non lasciare che nessuno possa farti diventare ciò che non sei. Io ho commesso questo errore troppe volte. Lascia giudicare la gente perché lo fa solo quando lei stessa non può più dare il cattivo esempio.

Ricordati che non muore mai quello che sei: nemmeno seppellito sotto le macerie dell’ennesimo sogno infranto. Rimane sempre qualcosa: rimani tu che, se mai fossi nata magari lo avresti fatto in una mattina d’autunno come me. Rimangono le speranze e le poche persone veramente importanti. Quelle che non avrai neppure il bisogno di tenertele strette perché non se ne andranno mai. Quelle che si metterebbero a seppellire un cadavere con te pur di aiutarti, pur di non farti passare dei guai. Queste persone non si scelgono: arrivano. E non si perdono. Restano. Tutto il resto? Non ti merita.