mercoledì 31 luglio 2013

Urlare. (La coscienza non dimentica)

Quando ci si ritrova stesi al ring, che sia per la violenza delle parole, delle false accuse, fino a quella tangibile, finiamo per parlare di tutt'altra cosa. Parliamo di altro perché vorremmo un corpo più adatto a tirar pugni che all'amore, perché ci sono colpi che non lasciano tempo e fiato per ribattere, perché ci hanno insegnato che bisogna sempre rialzarsi e andare avanti.
Arriva un momento, però, dove ciò non è possibile. C'è chi scrisse che "ne ferisce più la penna che la spada", certo, anche perché se facessi tutte le azioni che mi passano per la testa quando mi ritrovo a terra, contro l'avversario che in quel momento saltella sul ring, in questo caso avrei almeno un ergastolo da scontare. Inoltre non ho pistole in mano, nella mia mente. Ho al massimo una matita tra le dita, un foglio bianco e l'anima in fiamme. L'ostinazione ad andare dritti per la strada tipica di chi non ha più nulla da perdere, perché non gliene importa più nulla di niente, di chi è già stato ferito a tal punto da non sentire più dolore alcuno, di chi ha capito che l'unica cosa che resta è rialzarsi, a costo di sputare a terra sangue, a costo di allargare le ferite: c'è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce.

Mi sono stufata degli esperimenti, dei codardi con l'amore degli altri, di quelli che ci portano a non dormire più la notte sperando che la speranza venga soffocata dal sonno e quella non muore mai, mentre si vorrebbe crollare addormentati. Mentre voci attorno a noi s'interrogano sul da farsi perché manca anche la voglia di pensarci... "Va da lui" dicono. Io rispondo: non mi ha mai portato a nulla tempo fa, non c'è motivo per stare svegli ora. Così, senza fare niente anche quella speranza se n'è andata, senza confessare di non essere poi così lontana dalla mancanza, senza avere gusto né presunzione alcuna per essere ricordata... Fosse arrivata tempo fa, nel freddo di febbraio forse l'avrei fatta crescere dentro me fino a renderla concreta. Ma non ci sono stelle cadenti davanti alla finestra, né costellazioni che si riescano a distinguere da quaggiù.

Mi sono stufata delle voci insulse della gente che in una gara di idiozia riuscirebbe ad arrivare seconda. Mi sono stufata persino del mio silenzio, delle balle di chi pur di evitare una catastrofe dice che ciò rende più forti. Tutto, prima o poi, esplode. Chi prima, chi dopo, si esplode. Chi devasta, chi rimargina, chi lascia segni sulla pelle e chi sotto questa: tutto esplode. Io, voglio esplodere. Perché non esistono più margini che contengano questa rabbia, perché è giunto il momento di finirla una volta per tutte con queste idiozie. Perché la pazienza resta pur sempre la virtù di chi vuol farsi venire la gastrite e perché gli incubi si ritrovano sulla pelle graffiata al mattino. Perché è impossibile sbattere qualcuno al tappeto con mosse sleali e dirgli di calmarsi: sarebbe come sparare a qualcuno e chiedergli di non sanguinare. Perché si arriva al momento in cui non importa più nulla di ciò che sta attorno, della gente. La gente, quando pensa che sei pazzo, se ne va. Quando pensa che sei normale, se ne va. La gente crede a qualsiasi cosa le si inculchi in testa, senza chiedersi se sia vera o no. La gente,
quando pensa di poter guadagnare qualcosa dallo stare con te, resta. La gente? Vaffanculo la gente.
Io ne ho abbastanza. È ora di urlare. Urlare perché la verità muore nel silenzio. Urlare perché le ferite si rimarginano, i pettegolezzi si stemperano, ma la coscienza non dimentica.

giovedì 25 luglio 2013

Cara catastrofe... (La notte porta scompiglio)

Ho mal di testa e cerco la mia vena poetica. Non so cosa mi stia succedendo, è vero, non riesco più a dare un senso a ciò che scrivo. Forse nessuno riesce più a prendere sul serio le mie parole perché, quando diventi farfalla, non si ricordano più di ciò che è stato quando strisciavi da bruco e non volevi le ali.
Vorrei urlare, urlare a pieni polmoni: non avere paura delle parole dette a voce come non ne ho della penna. Anche se un senso non c'è. Non c'è senso, perché la notte, a me, non porta consiglio ma solamente scompiglio. Perché c'è a chi manca qualcuno che non potrà mai riabbracciare, e non sa come fare. C'è chi ha bisogno della droga e si strugge. Chi teme di rimanere solo con sé stesso, per paura che la sua facciata crolli. Ci sono persone talmente diverse, da essere destinate a rimanere insieme per una vita intera e altre, così uguali, che finiscono per sfiorarsi soltanto.
Poi ci sono io, che mi nascondo sotto un castello d'auto illusione pregando che non arrivi il vento a far crollare il tutto. Ci sono io, così come sono, che guardo la luna spostarsi nel corso della notte, quando in realtà siamo noi, a muoverci... E anche questo, un senso non ce l'ha. Sono qui, con le gambe incrociate e lo sguardo appoggiato sui tetti della città, un po' dentro mi ripudio e mi chiedo come possa essere finita nel mezzo del tornado dei miei pensieri, cercando di aggrapparmi a qualunque espediente mi distolga dal pensare a quella mancanza. Ora come ora, andrebbe bene qualunque pensiero superfluo: qualunque cosa in grado di sfumare lentamente sulle pareti della mia mente, senza lasciare traccia. Perché abbiamo tutti cuori della grandezza di un pugno, e sogni che non resistono all'impatto.
Forse è vero che le cose si finiscono per ottenere quando non le si desidera più: è vero, perché è totalmente illogico. Così, ogni tanto, qualcuno con una qualche pacca sulla spalla o bestemmia, mi ricorda che sarei io, il tornado. Che tutto torna, che sto vorticando, che è nulla quello che mi circonda e che sono fin troppo instabile. se dietro al cinismo ho ancora occhi cristallini che non riflettono per nulla le mie parole. Ecco, non voglio più pensarci, né desiderare. Ma mi è tutto così incomprensibile, stanotte, è tutto al limite del proprio contrario...
Vorrei poter usare dei punti esclamativi nelle mie frasi. Vita, che ne dici di lasciar perdere i limoni, e ridarmi indietro un po' di certezza? Ridammi tutto. "Ma tanto tu non crolli mai." Magari, io crollo dentro, fuori, crollo. Ma qualcosa che crolla, si può sempre ricostruire, e io devo cominciare a farlo. Allora, saranno tante le parole che scriverò, e magari si caricheranno anch'esse di senso. Forse alcune finiranno per somigliare a quelle che ho già scritto, altre ancora saranno banali. Eppure mi rendo conto che i sentimenti che si alternano nella mia testa sono troppi per poterli descrivere. Qu
ndi aspetto che un temporale estivo porti via questa confusione...
"E per struccarti useranno delle nuvole cariche di pioggia, adesso che sei forte, che se piangi ti si arrugginiscono le lacrime."

lunedì 22 luglio 2013

È più forte di me. (Quasi camminassi in mezzo alle macerie)

A cosa serve questa pioggia tempestosa, che prova a cullarmi inutilmente verso il sonno? E a cosa servono chilometri di lettere, se poi tutto questo è destinato a sciogliersi? Se poi, quando ti saluto in quel modo, non capisci che dovresti rispondermi "anche io"? Forse non serve a nulla. Vero, per un nichilista il nulla sarebbe già un tutto... E forse tutto questo non ha uno scopo ben preciso, ma possiede un significato, come i racconti che non rendo pubblici, perché so di averci messo troppo di me e che, in fondo, basterebbero a dire tutta la verità. Ma, chissà perché, quel poco non riesco a confessarlo nemmeno a me stessa.

Nessuno mi ha ancora detto di scrivergli, qualora mi perdessi. E così, quando ciò accade, corro. Corro perché risulta essere istintivo pensare che più veloce si riesce a scappare, meno possibilità ci sono che i ricordi, la verità o semplicemente quello che si pr
ova, ci assalgano. Correre è un po' come restare in silenzio. Io, questa sera mi sento persa, e allora mi armo di penna e scrivo, cercando di prendere a calci tutti i miei fantasmi, pur possedendo la consapevolezza che uno scrittore rimarrà sempre negato in questo.
E poi? E poi quei fantasmi, inevitabilmente ti raggiungono, e la buona volontà la si perde, perché non si è così veloci nell'atto di scrivere, e perché la pelle ha pur sempre una memoria di ferro. Ci sono poi anche cose che finiscono per ucciderci per paura di viverle.

La verità? La verità è che vorrei riuscire a gridare a me stessa che cosa mi stia prendendo nel profondo. Perché risulto essere indifferente, quando sono perfettamente cosciente del fatto che è proprio nel momento in cui non abbiamo più voglia di nulla, che necessitiamo di tutto? Sono spaventata, vero. Sono spaventata e mi manca il fiato come una che combatte sola. Ci sono cose di me che continuo a chiudere in un cassetto e a buttarne la chiave... Ne è la prova questo sguardo, quasi camminassi in mezzo alle macerie. Che cosa è crollato? La mia ostinazione nel raccontarmi bugie. Ancora non so se si possa avere un cuore al contrario e un'anima in negativo, che ci portino a desiderare ciò che non possiamo. Sono fatta così, cerco di auto convincermi di non lasciarmi coinvolgere, salvo poi metterci sempre troppo cuore. Questo non mi dà pace. È un sentimento insonne, veloce, spietato. E ancora, mentre di notte si amplifica ulteriormente, e non faccio altro che cercare di scacciarlo, lui sorride: "non ce la fai vero?". Chiedo perdono, è più forte di me.

venerdì 19 luglio 2013

Costretti a sanguinare (Nel cuore sì, nella vita no)

Vorrei poter scrivere male, vomitare sul bianco del foglio tutta questa tempesta che mi impazza dentro, ma accidenti non si può. Una volta dissi che scrivere dovrebbe ferire a morte... Ma qui sembra che ci si continui ad illudere che scrivere sia pur sempre un modo per fare l'amore. Sorellina, la notte è lunga e spietata. Eppure ti accorgerai, qualora fossi nata un po' storta pure tu, ti accorgerai di poter solamente amare quest'insonnia e abbracciare i tuoi demoni. Perché, in fin dei conti, non è forse l'abbandonarsi a tutto ciò che si è sempre respinto il rimedio più efficace? 
Inutile portare pazienta: è la virtù di chi ha intenzione di farsi venire una gastrite. Inutile illudersi, arrabbiarsi. Certo, è anche inutile che te lo dica io, di non arrabbiarti. Io che ho sempre desiderato poter urlare ciò che sento, senza però emettere suono alcuno per paura di non essere capita. È inutile dirtelo perché sarebbe come spararti e poi chiederti di non sanguinare. Che, poi, un poco costretti a sanguinare si nasce. Sai, ti ritroverai troppo a pezzi per stare sveglia, troppo stanca per dormire, con una marea di pensieri nella tua testa che sanguinano lentamente sul cuscino. Ti troverai in ginocchio, a sbattere i tuoi pugni contro il muro qualora fossi stata testarda come me che continuo ancora oggi ad associare canzoni a persone e per questo ce ne sono alcune che non sento da una vita. Sia di canzoni, che di persone.
Sai, sorellina, se solo fossimo in grado di legarci seriamente a qualcuno non saremo qui ad aspettare la notte per cercarci alla finestra... E qui ti accorgi di essere stanca, vuota, quando ti ritrovi a fissare gli infissi della finestra anziché il cielo. Quindi si cerca di autoconvincersi di essere forti, che prima o poi succederà e non si fa altro che rimandare... Ma la verità è che la poesia sul comodino ne sa molto più di noi che ancora ci ripetiamo: Nel cuore sì, / nella vita no // Presumo che per dirlo / ti sia già procurata / un bisturi / un barattolo / e due litri di formalina.

giovedì 18 luglio 2013

Uno sporco alibi (scrivimi una lettera che parli solo di silenzi)

Casa e il sonno è nuovamente un'utopia. Sarà che i ricordi sono inquilini complicati dal volume troppo alto... Così mi ritrovo nuovamente a scrivere, per non rileggermi chilometri di righe d'amore confusionarie che non mi dedicano più. La gente non scrive più lettere... Quanto vorrei aprire quella scatola e trovarne una intestata a un nome che non usa più nessuno: "Alice". Quanto darei per poter gettare a terra giornale, fatture e scartare la busta. "Non si aprono così le lettere!" Mi direbbe qualcuno. E allora? Esiste forse un modo giusto o sbagliato anche in questo?
Ma non c'è nessun inchiostro che si possa sciogliere sotto questa pioggia che cade incessantemente. Lei se ne frega se già piovono gocce salate sui miei mostri notturni, se gli occhi restano tutt'ora puntati a terra con l'ostinatezza con la quale usiamo legarci a ciò che inevitabilmente ci ferisce, non le importa neppure che io non sappia ancora accudire una pianta e credo ancora nelle lettere. Vorrei che qualcuno riuscisse a percepire quest'allegra tristezza che mi accompagna fedelmente. Ancora mi illudo che la gente sia in grado di comprendere che forse, all'insonnia, bisogna solamente abbandonarsi. Chi ha detto che non sia lei stessa la cura?
Sapete, mi sembra di essere nata al contrario, ma forse siamo tutti un poco attratti da quello che non comprendiamo, da quello che non è giusto per noi eppure lo desideriamo a tal punto... Ed è strano, questo dolore: morire di nostalgia per qualcosa che non si può avere. E allora scrivo perché altrimenti finirei per odiare tutti, come odio chi mi toglie dalla mia solitudine senza però farmi compagnia.
Il fatto è che molte volte mi allontano, ci allontaniamo da quello che in realtà desideriamo con tutti noi stessi, dicendoci di non riuscire più a capire se non lo si trova o, se non lo si vuol neppure cercare,
per paura di ottenere ciò che si desidera. E se tutto questo mi porta a non dormire la notte, è forse perché possiedo ancora la facoltà di sognare, ma non più quella di ricordarmi qualcosa, così come ho ancora la capacità di redigere un'intera tesi scientifica sulle mie paure, ma non quella di debellarle... Insomma, potrei continuare per pagine e pagine e pagine, resta il fatto che, se qualcosa la si desidera bisogna andarsela a prendere. Punto. Il resto è solo uno sporco e facile alibi.



sabato 13 luglio 2013

Trovatemi un modo semplice per uscirne. (Potremmo spararci alle spalle)

Ciao. Credo sia giusto mantenere la distanza. Non ci resta che scoppiare a ridere consapevolmente, o sotto altre influenze, per perdersi ancora un po'.
Sono persa, e sei perso anche tu, di questo sono cosciente. Come faremmo a trovarla dunque un'unica strada, senza causare un incidente nucleare di anime? "Uno scontro di anime dev'essere incidentale, non fatale", ricordi?
Ecco, ancora mi cerco e non mi ritrovo nemmeno tra queste righe confusionarie. Non ci resta che ridere a dirotto, dicevo. Non ci resta che ridere e, quando ci incontreremo, fingere di non vedersi per poi spararsi alle spalle. Tutto questo sarebbe opportuno: precauzioni necessarie ad evitare di fare la cosa sbagliata, anche seppur con la persona giusta.
Perché noi non siamo amici, non lo siamo mai stati né lo saremo in futuro. Noi siamo due avvocati delle cause perse: una scommessa da non fare. Eppure ci siamo ritrovati piegati a kilometri di distanza, eppure gli occhi rimangono sempre gli stessi e alle volte bastano quelli per fare l'amore.
Ma si finirebbe per scambiare omicidio per passione, per amore. Perché questo amore ci farebbe a pezzi lentamente, dopo averci dissanguato. Perché squarcerebbe da dentro quelle corazze che indossiamo per nascondere la nostra tendenza a buttarci a capofitto in tutto: in una canzone, nei casini e nelle persone.  Perché la musica prima o poi, sappiamo che finirà. E poi chissà, dal momento che la nostra solitudine è già alta più di noi ora...
Pensaci, il mancarsi non ferisce, non fa percorrere sentieri immaginari agli occhi e alla nostra mente senza la certezza di potervici uscire. Vero, al mancarsi non esiste soluzione né cura. Ma il fatto stesso di saperlo non ci annienta né guarisce...
Eppure mi manchi. Trovatemi un modo semplice per uscirne dal momento che non si guarisce mai fa ciò che ci manca. Ci si adatta, ci si racconta bugie
, si sta svegli la notte con gli occhi rossi.
Forse l'unico modo per uscirne sarebbe quello più errato: basterebbe dirselo un "mi manchi", invece che continuare a mancarsi in silenzio per una vita.
Ancora tempesta. E allora, tempesta, spazza via tutto ciò che gli altri hanno deciso essere giusto.
E tu, stammi a sentire: "mi manchi".