domenica 13 febbraio 2011

L'oceano dentro-parte prima

Io sono strana.
Credo che ci siano persone come nuvole, capaci di riempirsi le vene per poi piovere ogni tanto e scaricare tutto a terra. Persone che si lasciano trasportare dai propri venti a favore o contro. Persone bianche, pulite, lineari e semplici.
E poi ci sono quelle come me. Le persone con l'oceano dentro.
Ed è una forza troppo immesa perchè possa liberarsi. Traspare appena dagli occhi, quell'azzurro cristallino, vedi? Forse no.
È difficile riuscire a filtrare concetti precisi dall'apocalissi del cuore, dai mari in tempesta.
Tutti abbiamo delle cose non dette parole, non pronunciate che stanno appiccicate in gola: è meglio liberarsene.
Parole come treni in corsa che deragliano sulle rotaie...
Vedi, io non riporto i libri in biblioteca, sono lunatica, non sono brava in matematica e non so fare gli origami, non me la cavo neppure con le parole crociate, con la letteratura inglese e scarico illegalmente musica da internet qualche volta.
Ho sogni che mi si aggrappano ai capelli troppo spettinati, troppo rossi, troppo lunghi, troppo tutto come il cuore; gli occhi che mi si sciolgono come pioggia sulle guance,
e il mare dentro.
Io ho paura, non sono temeraria come alle volte dò sembianza. Ho paura delle parole non dette e delle persone che se ne vanno. Sono allergica agli abbandoni e li temo come la peste. Ecco, alle volte per questo divento scontrosa, mi rinchiudo nel mio guscio che non è roseo ma verde a pallini blu, perchè non ci dev'essere sempre un criterio in tutto.
Da lì tesso sogni di intesità troppo elevata perchè possano svanire all'alba come neve al sole. Sogni come vasetti di yougurt disposti ordinatamente nello scaffale a destra del frigo, sotto i ricordi a lunga conservazione di quando c'erano mani, sorrisi ed un'insicurezza dolce che mi si aggrappava alla pelle, ogni volta che il cuore sospirava; il tutto sigillato da un forte sole estivo. Sogni senza un perchè ma che di perchè ne creano tanti, troppi. E la risposta sta all'interno della confezione, ed è una, e sono di un gusto unico.
È una dose di paura da centottanta grammi. Perchè io ho bisogno che resti. Perchè un giorno questo mare troverà parole per raccontarsi. Vorrei far capire cosa mi prende quando accenno un sorriso finto e ti guardo di sfuggita.
Il fatto è che, forse, guardandomi si capirebbe la maggior parte delle cose che mi danzano dentro in tempesta, il gusto reale dei miei yogurt...
Facciamo così, non guardatemi ma tenetemi strette le mani per evitarmi di andar alla deriva, solo questo.
Parto da lontano e la prima cosa non è rivolta direttamente a te, ma a chi ha preceduto la tua presenza.
Sappi che non dimentico, ecco... dovrebbe esser qui, proprio sotto le foto, le canzoni, i mozziconi spenti e le spighe di grano. Ricordo. Ciò che tenevo a dirti, è che non ti ho mai dimenticato. Come potrei? Sei la prima cosa più bella che sia mai stata mia. Ecco, mi sento meglio. Perchè in fin dei conti il passato per lasciarlo andare bisogna prima salutarlo, abbracciarlo.
E per quanto riguarda il presente, è tutt'altra storia. Ma prometto che costruirò una zattera piccola ma tenace, capace di resistere alle onde tempestose. O meglio, affiderò le mie parole a  delle lettere chiuse nelle bottiglie.
Vedi, te, io non sono capace d'andare sotto pelle, non sono brava coi sorrisi, quelli veri, ho le parole difficili e i mostri sul cuscino.
Ma sono capace di dipingere silenzi con lettere disposte ordinatamente su un foglio bianco, conosco la differenza tra stringere una mano ed incatenare l'anima e me la cavo piuttosto bene in cucina.
Ora, per ora, in silenzio sono qui. Non vado da nessuna parte. Siediti pure accanto a me se vuoi e promettimi che sarai paziente.
Io, lentamente, dal principio, comincerò a parlare.

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