sabato 30 aprile 2011

Se non piovesse acido, su questo mondo.

Avete presente quando vi svegliate di soprassalto, nel pieno della notte, sudati: quando la stanza è immersa in un fitto strato di tenebre e cercate l'interruttori a tentoni? È successo così a me. Succede così ogni giorno, in questo mondo che si restringe ad ogni alba, e diventa sempre più complicato starci bene dentro...
Caro cielo, sono io. Sono io che son ben poca cosa per te, ma ti urlo continuamente contro, sai? Ti dò fastidio? Allora, giuro che se ripari le cose mi zittisco all'istante.
Queste guerre, questi atti ingiustificati se non dalla follia, finiranno un giorno tra fiori e risate isteriche? Ci sarà mai un giorno di sole, pace? Perchè il punto di domanda non diventa esclamativo?
Perchè risposta non c'è. Ma la speranza, sì: quella è l'ultima a morire. Forse ciò che ci sprona a sperare è proprio il fatto di non riuscire a concepire, ad accettare tutto ciò. Qui si sta come in una partita di scacchi: divisi in due, solo che sarebbe molto più facile se potessimo decidere noi da che parte stare; se qualcuno decidesse di gettare le armi per abbracciare il proprio figlio ed insegnargli a stare in piedi, a camminare dritti contro il vento e petto in fuori, perchè qui "si sta come d'autunno, sugli alberi..."
Se il mondo non fosse avariato ma semplicemente vario; se piovesse acqua e le lacrime fossero semplicemente salate e rare; se potessero tornare quei giorni di corse nel grano e occhi di cielo,... se.
Quanti "se" ci sono nelle nostre vite, voi siete sempre disposti ad accettarli?
Io, in fondo, in questo mondo, al destino, ci credo. Io mi oppongo e scelgo: le pedine bianche, grazie. Voi? Scegliete da che parte stare.

lunedì 25 aprile 2011

Questo cielo si dimentica. (racconto)

Capitolo Primo.
Mi hai lasciata qui, in balia dei miei sogni e delle mie paure. Mi hai lasciata qui. Alla mercé di questo mondo crudele. Senza una coperta da usare nelle notti fredde. Mi hai lasciata qui. Senza più sogni da inseguire. Senza insegnarmi a cogliere un fiore. A scrivere una canzone. Mi hai lasciata qui. Sola. E non sarai tu a spararmi. E non sarai tu ad uccidermi. Mi spegnerò lentamente. Oppure un gesto diperato mi porterà ad accasciarmi a terra; tra le braccia degli angeli. Non ho paura. Ne avevo prima.
Non ho paura del paradiso o dell'inferno. Non ci ho mai creduto. Non ho paura del dolore. Io non lo temo. Non ho paura del pericolo. Il pericolo non esiste. Per me.
Ma questa? Salata, calda. Una lacrima. È da tanto, troppo, che non piango. Non mi serve a niente. Non ci sarai mai più qui tu: ad asciugarmi le lacrime e a farmi sorridere.
Non ho mai capito come facevi a ridere in quel modo. Ma penso che sia perchè hai pianto molto.
Solo chi ha pianto molto può apprezzare la vita in tutto il suo violento splendore. E ridere bene. Piangere è facile. Ed ancor di più sul latte versato. Ma ridere, tutt'altra storia.
Oggi sono uscita in strada. Il caos mi ha fatta soccombere. Vi è troppo sole là fuori. Troppa vita, per me.
Offuscate tutte le stelle, perché non le vuole più nessuno. Buttate via la luna, tirate giù il sole, svuotate gli oceani e abbattete gli alberi, perché non servono a nulla. Io me ne sono resa conto un po' di tempo fa.
Quanto tempo sarà passato? Giorni? Mesi? O, forse, anni. Almeno secondo la mia percezione del tempo che scorre. Che non perdona. Che non si arresta e torna indietro, magari. Indietro a pomeriggi di sole come questo. Dove ero ancora viva. Perchè il tempo scorre. Come la vita che si allarga e si restringe a suo piacimento. E tu devi solo cercare di strarci bene dentro. E, magari, quando ci riesci, rubarne un po': di quella vita. Che forse, in una notte senza stelle, o quando ti sentirai morire, ti farà piacere ritrovarti un po' di vita nascosta dentro le tasche dei jeans.
Io, come al solito, sono stata avida. L'ho voluta godere tutta e subito quella vita. Ed ora, beh, ora sono a corto di vita. Di quella vera, però.
Non c'era un prima. Non c'è un poi. C'era il mentre. Forse somigliava all'arcobaleno che ci divertivamo a colorare insieme con le dita. Il mio veniva sempre un po' storto. Ma tu non me lo dicevi mai. Mi facevi credere che fosse perfetto. Non importava. io lo sapevo. Tu pure.
Ora il sole è accecante. L'afa non perdona. Non vi sono temporali ed arcobaleni. Non più.
C'è sempre un altro fondo, quando crediamo d'aver toccato il fondo, il fondo che siamo noi stessi a cercare, quello che scaviamo con le nostre mani, la fine di tutto.
Ma tu te ne sei andato. Senza pietà per me. Forse ti ho donato troppo amore. Che gesto imperdonabile.
È incredibile come, alle volte, la nostra vita si riduca in polvere. E non c'è niente di peggio che sentirti scivolare via, come sabbia al vento, quella vita per cui il giorno prima avresti fatto follie. Ora ridotta ad un mucchietto di sogni infranti. Inutili.
Forse è per questo che te ne sei andato.
Forse semplicemente non volevi che la vita stessa ti spegnesse sommergendoti lentamente, forse sei stato più furbo di me. Di tutti noi.
O forse no.
Ricordo quel singolo maledetto momento come se fosse, non oso dire un giorno fa, ma come se lo stessi ancora vivendo. Non riesco nemmeno a chiudere gli occhi. La mia mente mi gioca brutti scherzi.

martedì 19 aprile 2011

Che, in due, contro questo mondo... Si spacca il cielo.

Fondamentalmente non si crede, poichè è assai scontato non farlo; non si crede nelle cose belle perchè di sciupano... Ma se, invece, non si partisse dal presupposto che sia tutto così? Tutto qui?
Fondamentalmente abbiamo lo stesso numero di ossa, muscoli, polmoni e cuore (solo uno, alle volte già in eccesso di per sè, vero?) Poi ognuno aggiunge un particolare: chi lacrime di cristallo, che quando cadono fanno un rumore assurdo, frantumandosi a terra: chi pelle bianca, sia d'estate, che d'inverno: persone luna, incapaci di brillare di luce propria; chi sogni che s'aggrappano ai capelli; chi paura del buio e allergia agli abbandoni.
Non si può dar nulla per scontato e non tutto deve avere un senso o andar bene per forza. Prendete il mondo: neppure lui ha senso. Eppure è lì.
Credo, invece, che bisognerebbe partire dal presupposto che, sebbeno ognuno diventi diverso nel suo essere terribilmente banale, umano; in amore ci si cade. Questa vita ci stupirà. Vedrete, vi stupirà. La vita stessa tende a farlo per non so quale complicata legge fisica o teorema matematico: io non sono brava coi numeri. Con le parole? Dicono il contrario. E con queste dirò ciò che credo, ovvero che qui si punta continuamente al cielo, mentre basterebbe guardarsi e lasciarsi sorprendere... Lasciate che questi sogni vi s'impiglino tra i capelli e i mostri si riposino sul vostro cuscino.
Continuate a sognare che, un giorno, qualcuno vi venga incontro scusandosi del ritardo, giacchè nella sua vita c'era traffico. Che vi prenda la mano, vi dica che ci eravate addormentati sul divano svegliandovi lentamente, che prendete un treno e ve ne andate. Ricordate: in due contro questo mondo, si spacca il cielo. Tanto poi, questo cielo se ne dimentica: si dimentica di tutto e tutti, vero?
Lo so, lo so. E lo so che, questo mondo, alle volte è assai ingiusto. E lo so che si guarda a terra per paura di cadere. Come pure so che sarebbe gran cosa se il sorriso fosse all'ordine del giorno; se le persone sapessero ascoltare anzichè sentire e basta e se, finalmente, riuscissimo a scoprire in quale maledetto barattolo hanno nascosto lo zucchero e non cadere mai più in errore.
Sapete, c'è che bisogna viversi; poichè, in fine, tutto ciò che rimane sono solo ossa, muscoli, polmoni e un cuore più o meno integro. Resta il fatto che diamo troppi nomi alle stelle, dovremmo invece darli a qualcosa di più vicino a noi...
Rischiamo di perderci in quel cielo, così facendo. Sì, insomma, dovremmo solo stupirci. Invece, continuiamo a guardare sù.

sabato 16 aprile 2011

Solo pioggia e nulla più.

Oggi scrivo e ferisco il foglio: creo squarci di bluastro inchiostro. Di rosso c'è già troppo. Ci son già io.
Per paura di perdere ciò che c'è, in questa testa. Paura di perderla? Non credo, le ho già detto addio da tempo. Forse, al contrario, per sedare il caos che mi spinge contro le meningi.
Oggi voglio provare a dire qualcosa. Voglio provare a farvi vedere le cose in modo diverso. Sono qui, tra lo scoppiettare della pioggia ed il tempo sospeso, l'umidità ed il bagliore dei lampi. E ho un vuoto d'aria nella gola.
Lo sentite, il profumo della pioggia sull'asfalto? Perchè non mi parli più? E te, perchè m'ignori ottoorealgiorno?
Vorrei farvi capire che, se alle volte, ci comportiamo male magari un motivo ce l'abbiamo: magari siamo stati feriti anche noi. Ma non necessariamente, ciò implica il fatto d'impugnare le armi e far strage a nostra volta.
E ancora, profumo dei capelli bagnati, il peso dei vestiti zuppi di pioggia.  Spartiamoci un po' le nostre colpe. Ma qui cade la pioggia e tutto tace. Tace il mio telefono sul comodino, il mio cane zuppo, e ditemi, a che serve sperare se piove?

martedì 12 aprile 2011

Non avete paura di perdervi qualcuno di meraviglioso, lì fuori?

Non mi preoccupo più di avere pensieri fatti di virgole e punti di sospensione e che le parole si facciano desiderare: non ho fretta d'imprimerle su carta, ho tutto il tempo del mondo. E, poi, voglio viverle un po', queste parole. Cosicchè solo quando diventano troppo ingombrati e prima che sfioriscano o divengano troppo banali, prima che accada come quando ti innamori di un persona chessò con la macchina rossa e ti accorgi solo in seguito che il tuo paese è pieno di macchine rosse... Allora, le consumo.
Mi piace sentirmi così: riempirmi lo stomaco di farfalle che non fanno rumore. Mi piace l'idea di gelati sciolti in mano, su una panchina condivisa, di un "buon giorno" appena accesso il cellulare, che ti fa sorridere e tirare calci sotto le lenzuola per soffocare il buon umore.
Sapete che vi dico? La gente non è un'abitudine. C'è chi colleziona vecchie fotografie, francobolli, chi si comporta come se esistere fosse la cosa più naturale di questo mondo. io stessa, alle volte, guardo senza vedere sin tanto che non mi si aprono gli occhi fa fuori, sin tanto che qualcuno non si affaccia alla porta del mio mondo, dove ammucchio parole e cd aspettando che qalcuno le legga e che s'impolverino... Giacchè, è risaputo, la musica prende quella piega jazz solo quando la copertina s'impolvera.
Ho una lunga schiera di sguardi rubati, conservati in quelle scatole che riempi di cose vecchie, che profumano di ricordi e lasci sotto il letto; quelle che ti ritrovi ad aprire quando il tempo ha fatto il suo dovere e i contenuti sono ricordi che pungono la pelle e fanno tremare il cuore e le gambe.
Sguardi rubati nei locali che non conosce nessuno, quelli che trasmettono msica bassa e hanno quadri angoscianti appesi alle pareti, mentre sorseggio il mio cappuccino, dimenticandomi di quanto odio il caffè zuccherato. Sguardi strappati da persone in scontri frontali nelle librerie, perchè solo loro sanno quanto adoriamo gli autori impilati in ordine alfabetico, dai ragazzi che leggono alle fermate del bus dopo scuola, finalmente liberi da qualsiasi vincolo: nichilismo letterario. E poi sguardi presi dagli occhi di chi ti sfreccia accanto, mentre cammini sul marciapiede.
Io verrei sorridere ad ogni persona che incontro e dirle: "Ciao, sai, noi, esistiamo insieme. E credimi, dietro questi capelli rossi arruffati, occhi trasparenti, c'è ben altro. Se solo avessi tempo e voglia di andare oltre: scavare sotto pelle, potrei piacerti. Se solo ti fermassi per sentirmi parlare anche solo del tempo o del posto dove fanno i coni gelato migliori, quelli che sono dolci solo se condivisi; se solo mi ascoltassi, invece di fermarti ad osservare la scorza, dannazione, potrei piacerti."
Perchè siamo fatti così: sfioriamo le persone sul marciapiede, per strada, nei negozi, come fosse un'abitudine: la cosa più palese di questa terra.
Ma voi, non avete paura di perdervi qualcuno di meraviglioso, lì fuori?
Io sì.

domenica 10 aprile 2011

C'è che, oggi, vi faccio entrare un po' in me.

Trovo che il momento migliore sia quando la festa è finita. Restano solo briciole, caos e attorno a te il silenzio assoluto. C'è chi crede sia triste, chi si lascia sopraffare dalla malinconia, chi da solo soffre. E chi, come me, sorride e aspetta.
Rimangono i ricordi, rimangono i perchè, gli occhi. Gli occhi rimangono sempre, come ombre di un passato troppo sporco perchè possa esser riportato alla purezza del bianco, troppo profondo perchè possa dissolversi senza lasciare cicatrice alcuna. Rimangono, impassibili, incisi nella pelle, fra i capelli e le costole. Rimangono e lasciano trasparire quei ricordi intrappolati nel mio oceano. Sapete qual'è il bello di questa caotica, scrosciante, dilagante vita? Che non scopriremo mai che cosa siamo tenuti ad essere, rappresentare realmente e che tutto nasca da un comune uovo roseo.
Sono arrivata a sfiorare la morte, ecco. Sono arrivatà là, mi sono guardata intorno, girata, ed ho cominciato a correre. È andata così. I giorni mi scivolarono addosso come acqua sulla pelle in un tentativo malato di "fermare il tempo", mi chiusi a riccio con la forza ostinata con la quale ci si attacca alle cose che fanno male. Ma non scriverò di questo: è passato e finito. Scriverò della vita. Di questa vita che mi mangio come una torta alla crema, affondandoci la faccia e sporcandomici completamente. Al massimo be farò un'indigestione, di questa vita, che non è mai tuttavia troppo dolce.
Date retta a me, non sfracellate i vostri sogni a terra: saltate in alto. Vivete, amate, sappiate che non c'è niente di meglio di un bacio sbagliato, correre. Correte veloce, tagliate i traguardi. Laciatele correre, le vostre emozioni. Ma, soprattutto, superatela. Stupite questa vita, più di quanto lei non sia in grado di fare con le nostre anime.

Mi chiamo Alice. Sì, ho sofferto di anoressia, non rinnego il passato. Non mi piacciono le righe: preferisco i quadretti. Amo scrivere, sognare, innamorarmi, vivere e vado letteralmente pazza per le torte alla panna.

giovedì 7 aprile 2011

A sapervelo spiegare, che filosofo sarei...

Ci sono cose che non ho detto, che non dico mai a nessuno, che mi tengo nascoste nelle tasche dei jeans, nelle mie quattro mura, nel cassetto del comodino? No, di quello ho perso la chiave.
Non c'è fine che mi freni, non c'è mancanza di battito di cuore, di amore, di persone che mi spaventi. Temo solo la morte delle parole, questo sì. Dunque?
Possiamo parlare d'amore. Possiamo parlare di noi. Possiamo parlare dei cereali che mangio alla mattina, di quanto adori quest'aria che sa di buono, d'estate, dell'infinito o della rivoluzione francese che conosco come le mie tasche, se volete... Il punto è che sono dispersa tra le nuvole e tutti me lo ricordano.
Non ho ispirazione. E allora? Allora scendete in strada, che esco a buttar via i vetri di bottiglia e i cocci di ricordi, ci troviamo a metà strada vicino a quella magnolia in fiore, ok?
E poi? Raccontiamoci di noi, delle anarchie del passato, delle rivolte, quelle del cuore, però.
Parliamo di filosofia platonica, poesia immortale, del quotidiano moto dell'esser inutili attori mancati a recitar la commedia della vita. Facciamo così: scambiamoci le ossa, amore e odio, cinismo ed indifferenza, gli attimi perduti ed il tempo mai usato. Diamoci il cambio. Equilibrio ed instabilità, pazzia e normalità.
E va bene, che i ricordi restino ferite ancora aperte. Questa guerra è ancora nostra.
Chè io so, un giorno finirà e indosseremo vestiti sgualciti, capelli arruffati e cuori caldi, rideremo, urlando alla luna il nostro dolore. Io avrò parole facili, e qualcuno che venga a tirar sassolini al vetro della mia finestra, a sconvolgermi la vita, che non è un puzzle e non dev'esser tutto in ordine. Che capirà Baudelaire, la mia malinconia e i Baustelle. Non l'ho ancora trovato, nè tra le note di una canzone, nè tra le pagine di un libro, nè tanto meno tra la gente. Ma l'ho cercato, eccome, lo giuro. Forse ho semplicemente cercato in posti troppo monotoni, in strada, tra i tavoli di un caffè.
Dove sei? Dov'è l'amore? Non lo vedo. Forse è semplicemente negli occhi di chi sa, non dico guardare, ma vedere, tra le pareti di questa camera: nelle soffitte del mondo intero.

domenica 3 aprile 2011

Il rumore dei sogni.

Aria primaverile, tovaglia provenzale, influenza e voglia di ciliegie. È domenica.
Dovremmo essere infiniti. Aver corso anche un sola volta nell'erba alta. Magari adesso chiudo tutto, lascio il coniglio a bruciarsi in pentola ed esco con una maglietta che odio: a qualcuno piacerà, non importa. Quella persona, la terrò stretta. Comperò un cd di un qualche cantante mai sentito nominare. Poi farò un bagno e l'asciugamano azzurro sarà lì con il suo fresco abbraccio. Siate infiniti: ridete di niente, vivete di tutto. Cosa sto dicendo?
"Facile, scrivi solo ciò che conosci."
E invece, no. Oggi facciamola difficile. Oggi scrivo delle nuvole e del fumo del caffè mattutino. Del rumore dei passi nei corridoi deserti di scuola durante le lezioni. Del profumo dell'erba appena tagliata. Sì, mondo. Sono sempre io. Non me ne vado via, semmai mi troverete emplicemente vicino al mare.
Ecco, facciamo così, ora me ne torno là. Sta notte vi ero. E mi viene da chiedermi se i bei sogni non facciano rumore per non svegliarci o per dileguarsi allo scadere della notte, abbandonandoci tra le lenzuola fredde e il suono violento della sveglia sul comodino.
E voi, riuscite a percepirne l'odore? Il mare di Francia, meta consueta delle vacanze estive. Ci ho lasciato l'anima, su quelle spiagge, in quei paesaggi e paesini di un'entroterra ancora prevalentemente incontaminata. Giacchè forse l'elemento decisivo non è la delicatezza, nè la dolcezza, non è la forza nè la tenerezza, ma la selvatichezza.
Il più delle volte,purtroppo, la gente non coglie tale selvatichezza, essenza vitale, e non si rende conto che cose in apparenza tanto insignificanti e irrisorie, come un mercato caotico nel cuore della Provenza, possano avere qualcosa in comune con le più belle opere d'arte.
Mi piace quella vita: un vita senza prospettiva, che non lascia svanire la possibilità di diventare un'opera d'arte, una vita senza passato nè futuro, senza contorni nè orizzonte: il qui e ora, bello, pieno, chiuso.
Fin dal mattino mi tuffavo, instancabile, sotto i cavalloni o volavo sopra la cresta delle ondi, senza fiato. Mi gusto la vista del lungomare. Non mi viene mai a meno, non mi basta mai. Ho la sabbia ancora appiccicata alle caviglie, respiro nell'aria ricca di iodio, in balia di incomprensibili frammenti di conversazioni catturati dai marciapiedi e dalle spiagge brulicanti di gente. Rituali delle vacanze, sensazioni immutabili: il gusto del sale agli angoli della bocca, le dita grinzose, la pelle calda e secca, come sarebbe bello, come sarebbe facile. C'è un emozione dentro di me, sapere, che ho sempre provato invano a descrivere. Magari, la prossima volta, prendo un paio di sentimenti e li metto nello zaino, dato che nel petto non c'è più posto...
Siate infiniti.