giovedì 11 settembre 2014

Non poterne vivere senza.

Ci fosse tuttavia data la capacità di comprendere il modo in cui si manifesti "la fine"…
Per qualcuno, questa arriva non appena qualcosa di completamente inaspettato fa irruenza nella propria vita. Per altri corrisponde ad un punto ben calcato e forzato sulla pagina di un passato da archiaviare, e solo chi ha dovuto imprimerlo, sa quanta forza e quanto dolore siano necessari per poterlo scrivere, quel punto. Solo chi ha provato ciò, può poi smentire il tutto, e dire che sto mentendo, che quella non è la "fine" ma puro "oblio", ed io non posso che dargli ragione. Così si cerca di far fronte a tale oblio. Per alcuni, ciò significa aggrapparvicisi, a quella fine, che tanto li fa a soffrire ma non al punto del coraggio dell'oblio, piegandosi inevitabilmente ai voleri di essa ed offrendovisi quando questa lo esige.
Altri son soliti scrivere lettere senza risposta, quando la pressione del dimenticare si fa troppo forte, e necessitano della presenza del destinatario, magari dall'altro lato di un tavolino traballante di un caffé, che tanto son tutti malfermi come noi. Mentre non piove e, tuttavia, la pioggia, a questo punto, non possiede più la capacità di influire in nessun modo sull'atmosfera, da quando è diventata uno stato d'animo ed è novembre tutto l'anno.
La fine.
Fa paura. Ad essa non ci si abitua: si cela, si nasconde, viene additata.
La mia fine, è questo qualcosa che non mi dà tregua, che mi porta letteralmente ad impazzire. E no, non so se provenga dal mio passato o meno. E sì, so che questa mia confessione vi ha lasciati basiti e conferma i vostri bisbigli. Ed io mai come ora, odio quel genere di persone che di questo tormento ne fan filosofia, apprestandosi a rifiutare e disdegnare la vita, la felicità, la naturalezza in nome di un vago ideale quale "lo stato ultimo" o qualcosa del genere… Coloro non possono fare altro che indossare la maschera del tormento ed impersonare una loro idea.
Ma signori, io mi chiedo, avete mai sperimentato sulla vostra pelle questo reale male che vi sveglia la notte, in un bagno di sudore, mentre chiude la trachea fino a rendervi quasi impossibile respirare e versare lacrime per allentare la sua morsa? Avete mai provato l'angoscia di trovarvi sulla metropolitana, circondati da persone, e voler solamente urlare alle voci dentro voi di tacere per un momento?
Io non credo.
E so che cosa stiate pensando: alcuni di voi che io vaneggi, altri che sia sotto psicofarmaci o chissà cosa. Non m'interesso più di cose di poca portata quali ad esempio il comun pensiero. Così come pure non mi curo più dell'analisi che si arroga il diritto di rendere comprensibili, dal punto di vista psicologico, i nostri comportamenti, paure, ossessioni.
Credo in poche cose, e son quelle a cui mi aggrapo in periodi "neri spettacolari", come cantava qualcuno. Credo nei libri e nei tramonti e in ciò che può aiutarmi a dormire, giacché non è più tempo per la mia tanto amata insonnia. Credo nella filosofia, non come risoluzione o spiegazione del concetto di "fine", ma per trovar rassicurazione nelle inquiete parole già scritte da qualcun altro su quanto sia complicato sopravvivere ai propri fantasmi e, tuttavia, non poterne
vivere senza.

lunedì 8 settembre 2014

Il bisogno di morire di crepacuore (per scrivere)

Forse è tempo che io vada via, forse è giunto il momento in cui non si può più cambiare veramente nulla senza andare. Ma non come un Kerouac moderno o quei libri che tanto ama leggere la parte di me che sogna ancora, senza riuscire mai a finirli per non poter arrivare a Denver, o a New York, e cominciare a scrivere, dal principio, di ciò che è stato…
Non m'interesso di nulla in particolare, ora come ora, che si possa in un certo qualmodo avvicinare alle tanto amate ossessioni che ho avuto in passato: quasi una per stagione, come quando mi fissavo su un alimento in particolare e andavo avanti a mangiare quello e solamente
quello fin tanto che, da un giorno all'altro, non decidevo di cambiare l'oggetto della mia morbosità. E, paradossalmente, scrivo di non scrivere neppure più. Attorno, un silenzioso frastuono di grumi di sogni estirpati, qualche disco, una o due lettere mai spedite, un quadro mai consegnato, e tre libri mai finiti. Quando sarò capace d'amare, il conto forse tornerà… Mettete qualche birra in più, che possa fungere da alibi per scrivere nuovamente, togliete l'inibizione, così che io possa dire solamente ciò che si reputa essere verità, aggiungete il fatto che possa essere presa sul serio o meno, e togliete il mio sguardo, mentre dirò che non ero in grado d'intendere e di volere. Che poi si può anche fingere, quest'ebbrezza, e si può fingere di crederci.
Posso scrivere dell'eccesso d'amore possiedo entro me, senza riuscire a poterlo donare a qualcuno che possa restare. Posso scrivere di come i tramonti visti in periferia siano bellissimi ed ogni volta che esco per potermeli godere mi ricordo di quel passo del "piccolo principe" dove lui ne parlava e accennava al fatto che si ama il calar del sole quando si è tristi. Posso scrivere di come ci si può innamorare, in un giorno qualunque, nel giro di una fermata di metro di occhi sconosciuti che resteranno per sempre tali. Oppure, posso dire che il punto è che, nella vita, nessuno ti prende, ti fa un bagno caldo e t'insegna a vivere.

Confessando poi che sì, le mie storie d’amore hanno la resistenza dei fiori sotto ai temporali, ed io ho desiderato più volte di poter vivere di scrittura, e perciò non m'importa minimamente dello sfaldarsi di quei petali, perché ho bisogno di morire di crepacuore, per poter scrivere. Potrei poi scrivere di quanto coraggio mi ci voglia a decidere di partire, ora come ora. Di quanto sia complicata la nostra mente ed i fantasmi non ci lascino in pace nemmeno se glielo chiediamo in ginocchio. Che la verità si legge su di un volto di sei apparenti anni in più della sua reale età, si evince da dei capelli troppo corti e chiari per poter evitare di perderne il più possibile per strada e convincersi di poter cambiare, per l'ennesima volta, senza chiedersi se in meglio o in peggio, che poi son solo punti di vista. Posso scrivere di ciò di cui la gente non ha il coraggio di parlare, ma si limita ad osservare e bisbigliare, ma non so quanto questo possa tornare utile, dal momento che ho scritto tanto senza riflettere a dove attaccare le mie parole. 
Oppure, posso prendere un bel respiro profondo e, dalla fine, a ritroso, cominciare. Giacché non si può comprendere l'inizio, fin tanto che non si giunge alla fine.

sabato 2 agosto 2014

Senza titolo (...mentre Alice mi osserva con gli occhi spalancati.)

Parlo di cose a caso, scrivendo a testa in giù, scrittura mista su lenzuola bianche, sconvolta dal sangue che scorre al contrario. Mentre ora, penna alla mano, fuggono anche i mostri sotto al letto incrociando lo sguardo traslucido da cui traspare ciò che riesco a nascondere tra le articolazioni, fin tanto che il sangue non finisce per colare di blu tinto sul foglio bianco. E il coniglio s’è allontanato, perché non esiste più tempo e non è più tempo di chiedersi quante volte io abbia inserito delle parole irrisorie nei miei scritti, solamente per compiacere il ritmo e nascondere i reali pensieri.
Ma stanotte no, stanotte non dormo, mentre Alice mi osserva con gli occhi spalancati dalla sedia sulla quale è costretta, mentre perdo il filo, che tanto è novembre tutto l’anno. Scrivo, perché impulsi del genere esistono a prescindere, anche se non son certo i benvenuti, anche se somigliano alla parte di me dentro lei e da lei odiata, stimoli così cruenti non se ne vanno, ma rimangono immutati come dei moderni ritratti di un Dorian Gray nostro alter ego: scrittura, musica, pittura, non ha importanza alcuna. Ognuno di noi possiede un’ombra, e il più delle volte è proprio da essa che si generano paure e splendori. Ipnosi o psicosi, che differenza fa? Qual è il confine tra reale e non? Censura.
Censura di pensieri densi come petrolio che colano entro noi, rendendoci difficile respirare, inspirare, ispirarci. Mentre sappiamo l’eternità essere solo un modo di dire, mentre l’odio o amore che sia, che riuscivo a provare si è da tempo trasformato: gli ho messo una maschera d’ossigeno, ma non so se ce la farà. Ed io avrei così tanto da dover esprimere, ora che finalmente l’altra parte di me mi guarda inerme, zittita da del nastro adesivo. Ho da dire che, talvolta, la dignità di voltare le spalle ed andarsene per la propria strada viene fraintesa con vigliaccheria, che chi questa dignità non possiede ripercorre le proprie orme finché queste non giungeranno nuovamente ad un punto di rottura. Ho da dire che, chi non parla, non autorizza chicchessia a parlare di sé, ma forse lo fa semplicemente perché non ha nulla da dire; oppure è troppo stanco di esprimersi per codici socialmente accettati, quando ciò che ha dentro lo spingerebbe ad impugnare una pistola. Ho da dire che talvolta si guarda lontano buttando via ciò che di prezioso ci circonda per paura di guardare dentro sé. Che i fantasmi del passato tornano a farci compagnia e non vogliamo ammettere quanto alle volte ciò ci faccia piacere. Ho da dire poi che…

Ipnosi, psicosi la differenza sta in quanto stretto si lega se stessi ad una sedia. Non era abbastanza.

mercoledì 28 maggio 2014

E il resto è ruggine e polvere di stelle.

Lo so, sorellina, so che avevi passato mesi a convincerti di riuscire a non fidarti più di nessuno. So pure che son veramente rare le occasioni, e ancor più le persone, con le quali hai deciso tuo malgrado di non chiuderti a riccio. Conosco pure come ti senti ora, mentre mi dici con rabbia che, se una persona riesce a lasciar cadere un poco le sue difese, bisognerebbe tenerne conto e non muoversi come degli elefanti in una cristalleria. E accidenti, bisognerebbe saperlo fare, di tenerne conto, e invece…
Sai, io stessa ho passato mesi a cercare di vaccinarmi, di mettere sotto formalina i miei sentimenti, convinta di poter così diventare forte ed inflessibile ad ogni palpitazione del cuore che attribuivo al mio consumo sconsiderato di caffé. Ho poi passato mesi a combattere l'insonnia e altrettanto tempo a convincermi di non provare nulla se non sentimenti incerti. La verità? Valla a sapere…
So solo che, tutto ciò, si è rivelato essere ben poca cosa se ogni volta che ho fatto appello alla ragione, questa mi ha sempre rinviata al sentire. Così, mi sono accorta d'esser negata ed annegata nel mio tentativo, perché difese come quelle, crollano al primo soffio di vento, o messaggio inatteso.

Sorellina, tu sei come me: ti capita raramente di voler del bene a qualcuno, ma se lo fai, è sempre a fondo perduto. Ti parlo di tutto ciò proprio perché, a riguardo, non mi resta più nulla da dire e questo è il momento in cui le parole si sono consumate, e il silenzio può cominciare a raccontare. È quel momento in cui senti di non poter non solo più far nulla, ma anche pensare di poter fare qualcosa: l'unico momento buono per poter tornare a respirare, a riattaccarti i pezzi di te che ti son stati strappati per l'ennesima volta, ma con un sorriso, perché c'è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce.
Sorellina, esci: è già nuovamente primavera, e il dolore non ha diritto di sorprenderti seduta a terra, col viso tra le mani. Non contare su nessuno: io ho perso il conto di quante volte sono caduta in mille pezzi davanti a tutti, e nessuno si è degnato non dico di aiutarmi a rialzarmi, ma anche solo di avvicinarsi. Nessuno. Per questo mi sento di scrollarti, di prenderti per la felpa ed esortarti ad alzarti e a smettere immediatamente di essere buona con tutti. Alzati e volta le spalle a chi finge di volerti bene, a chi non sceglie mai, a chi non ha mai paura, a chi dice di esserci. Certo, in teoria ci sono tutti, ma in pratica, dove sono? Non fare sconti a nessuno. O ci si è, o no. O si è dentro, o fuori. Tu hai bisogno di qualcuno che resti, non di un prestigiatore.
So cosa mi risponderai, ora: che se noi non siamo abituate a chiedere a nessuno di rimanere nella nostra vita, non è detto che non desideriamo che questo qualcuno vi resti. Sai cosa ti dico? Se qualcuno tiene a te, rimane a prescindere. Se qualcuno veramente tiene a te in qualsivoglia modo, ti prende in braccio o non ti lascia andare via, qualora tu possedessi il mio stesso impulso alla fuga. Chi tiene a te lo dimostra. Non credere ad una sola parola: lo fa a gesti. Io sono nauseata dalle belle parole. Anche il complimento più disinteressato mi suona come l'ennesima bugia, sarà che di belle parole ne ho sentite fin troppe, sarà che chi a parole diceva di morire per noi, ancora respira. Anche quelle delle canzoni, sorellina, non credere nemmeno a loro. Le canzoni, in fin dei conti, non servono a nulla: ci si salva sempre e solo da soli.

Alzati, sorellina. Noi siamo fatte così: sentiamo il doppio, e spesso, questo ci si rivolta contro. Ma ti svelo un segreto: siamo anche fortissime. So che eri cosciente del fatto che tutto ciò fosse sbagliato, sbagliatissimo, e che sarebbe poi finito a spargimento di sale sul tuo cuore. Ma pur sapendo, l'hai fatto. Consapevole di sbagliare, hai perseverato nell'errore: ne hai avuto il coraggio. E tutto ciò, perché ti rendeva felice. Come puoi non esser fiera di te stessa? Certo, ora sei ancora lì, seduta. Ma sai qual'è il bello? Che chi ha il coraggio di lasciarsi cadere, si rialza sempre. Certo, prima bisogna lasciare che il male passi, allora urla, piangi, sentiti morire un po' dentro: lasciagli fare il suo corso. Noi possiamo cadere centinaia di volte, ma ci rialziamo. Ogni volta un po' più leggere, un po' più acide, ma ci rialziamo sempre.
Non ti dirò che ciò che non ti uccide fortifica: non ci credo nemmeno io. Ma ti dirò che puoi far sì che ciò che non ti ha ucciso a suo tempo, si penta di non averlo fatto quando ne ha avuto l'occasione.

"E se non passa?"
"Se non passa, ci passi sopra tu."

venerdì 9 maggio 2014

Sono colpevole, vostro onore. (Con un coltello da cucina)

Non ho mai accennato parola su quando, a novembre, mi tagliai i capelli con un coltello da cucina.
A dire il vero sono giorni che provo a non scrivere, ma adesso mi sono arresa. Mi sono arresa, perché il mio coraggio è riuscito nuovamente a stendere al tappeto l'orgoglio e a spingermi ad impugnare una penna, anziché a cercare un muro contro il quale sbattere la testa.
Da dove iniziare? Se fosse possibile, comincerei da tutte le parti. Mentre non avrei mai immaginato quanto potesse essere difficile esprimere a parole tutto ciò, mentre giuro solennemente di dire la verità, e voi dovrete credermi. Non ho mai raccontato del perché io scriva, forse non lo so nemmeno io, probabilmente perché quando smetto di farlo solamente perché mi pare d'impazzire, mi accorgo che qualora non accennassi mai più alla minima parola, non me lo perdonerei più per tutta la vita. Forse perché scrivere non è la cura, dal momento che ne ferisce più la penna che la spada, o quel famoso coltello scambiato per dei fiori. Mentre ancora ferisco coi silenzi per poi scusarmi per le uniche tre parole che riesco a dire, quelle che risultano essere le tre coltellate fatali.
Sono colpevole, vostro onore.
Ma colpevole di cosa? Onestamente: ho sbagliato? Cosa credete?! Anch'io, in quel momento, me ne stavo in disparte ad esaminare quell'esplosione di follia, quella caduta. E non mi ha spaventato per nulla. Certo, mi sono sempre chiesta cosa spinga me e pochi altri ad impazzire in questo modo. Non lo so, vostro onore, ma so cosa mi sta per dire. Mi dirà che per persone del genere, è proibito addirittura osare avvicinarsi più di cento metri, o pensare di poter entrare anche solo con un piede nella realtà.
Ne ero perfettamente consapevole. Ho capito di aver superato ogni limite e che oltre quel limite ci sarebbe stato il buio, ma ho anche capito che, alle volte, ci si trova davanti ad un salto nel vuoto e bisogna saltare per forza. Vostro onore, detesto chi non si lascia cadere salvo poi voler a tutti i costi spingere gli altri, mi può dar forse torto?
La verità è che quelle come me hanno tempeste dentro e si ostinano a dire che va tutto bene. Mentre ancora non capisco le persone che, quando qualcosa spaventa o si complica, scappano, per poi tornare, come usano fare le mode, i movimenti artistici, le manie e le nevrosi. Oppure, le si incontra anni addietro, in un giorno assurdo qualunque, con la spesa in mano, fingendosi più grandi e domandandosi come si stia, che poi, diciamocelo, non è la domanda chiave. "Tutto bene, naturalmente, io sto bene, esattamente come te, nevvero?"
Il fatto è che se potesse leggermi nella testa, vedrebbe che la distanza è molto più breve di quelle tre piastrelle che sembrano continenti e fusi orari. Il coraggio fa paura, paradossalmente.
La verità è che in me c'è da tempo qualcosa che sono sempre stata costretta a nascondere anche a chi avrebbe potuto capire. Mi è impossibile vincere la forza di repulsione che l'anima esercita quando vede un'altra anima avvicinarsi ed esporsi, vostro onore. Così, giuro solennemente di non aver avuto buone intenzioni quando ho pensato di aver già perso troppe volte, di aver desiderato di trovarmi dalla metà vincente, quella che sarebbe rimasta intera. Così, quando mi sono resa conto di essere io quella che si sarebbe disintegrata, il coltello non l'ho più usato per tagliarmi i capelli.

giovedì 1 maggio 2014

Chiedimi se abbia mai amato qualcuno.

Ciao sorellina, è parecchio che non ti scrivo. Perdonami.
Ultimamente non mi succede nulla di che, è solo che sono stanca di parlare di me e di mentire a riguardo, odiando poi chi mente su cose di questa portata. Sono stufa di dire cosa penso ma mai fino in fondo, di omettere come sto mentre esplicito come io credo di stare.
Capiterà anche a te, sai? Capiterà anche a te di ritrovarti a correre sotto la pioggia, con le scarpe da ginnastica fradice, per cercare di scaricare a terra la rabbia come usano fare i fulmini.
Ti capiterà, perché saprai quanto devastate sia odiare chi tace i propri sentimenti e non si lascia cadere nel vuoto, salvo poi accorgerti di essere tu la prima a stare in bilico sul cornicione.
Oppure non accennerai nemmeno ad avvicinarti al bordo, chiedendoti solamente quanti passi ti separino dal salto, di quanti battiti è composto un sentimento, e rimandando. Sai, è solo quando fai ben attenzione a non perdere la testa, a non fare un passo sbagliato per non scivolare, che l'hai già persa da un bel pezzo cadendo. Qualora dovessi vederti esitare, non ti spingerò certamente, ma ti farò solamente notare che sì, così è tutto apparentemente più leggero, salvo poi chiederti se credi che ciò sia realmente meglio.
Io stessa non ho idea quanti battiti il cuore debba saltare per riuscire a far sì che tu possa esprimerti, ma so che quel tempo non è certamente di quattro quarti, perché, altrimenti, almeno a qualcun altro, non farebbe paura.
Cercherò poi di ricordarti che ci fu anche chi, aspettando il treno giusto, finì per passare la vita alla stazione sbagliata…
Sorellina, sentiti libera di chiedermi se io abbia mai realmente amato qualcuno, così che possa risponderti di no. Io credo di non aver amato nessuno mai, tranne qualcuno, sia ben inteso.
E non crederti in torto se proverai rabbia nel sentirti chiedere indiscretamente se sia per caso tu "quella" ragazza più giovane, perché la gente parla fin tanto che non trova qualcosa da dire e perché lui dimostra fondamentalmente i suoi anni, mentre tu non sai più quanti sono i tuoi… Ma gli occhi, loro, sono della stessa dimensione, te lo giuro.
Sai, se fossi Battiato, ti direi che ti proteggerei dalla paranoia e dall'ipocondria, dagli sbalzi d'umore e dalle lune distorte. Ma non posso fare altro che esortarti a desiderare qualcuno al tuo fianco che ti vesta, giacché, diciamocelo, a spogliare son bravi tutti.
Ti ricorderò poi che nulla dura troppo a lungo e che, anche se entrambe lo sappiamo, a questo,
non ci si abitua mai.
E proprio non so dirti altro, amore, se non confidarti un ultimo segreto: quelle come noi, non sanno abbandonare.

martedì 29 aprile 2014

Siamo come soldati.

Fuori dalla finestra piove ancora, mentre io cerco di mettere nelle scatole di cartone gli ultimi frammenti dei miei scheletri che ho tolto dagli armadi. Dentro me è uno scrosciare ininterrotto di pensieri che fanno esondare i miei fiumi sottocutanei in piena. Tutto questo perché, ogni tanto, ti penso spesso.

Perché sto recitando una parte che non mi appartiene e non riesco a calarmi totalmente nel ruolo: rimangono sempre gli occhi trasparenti coi quali non riesco a mentire, perché così io non mi riconosco, perché nel momento giusto non ho trovato parola alcuna nonostante fossi piena di cose da dire.
Sarà l'età, sarà che sento di avere bisogno di una piccola rivoluzione a partire dall'idea della prima colazione… Sarà che abbiamo in comune delle grandi similitudini che possiedono il potere di dividerci e, al contempo, di unirci. Forse sono solo grandi nevrosi.
Forse è la comune sofferenza circa il non amare quel vivere a metà del quale si accontenta la maggior parte della gente, e lo osserviamo da fuori, come qualcosa di estraneo ai nostri percorsi. Voglio dire, se ti vedessi per strada un giorno per caso, senza conoscerti, probabilmente resterei a osservati tutto il tempo, come succede con quelle persone che a volte mi capita di scorgere in stazione: quelle persone che incroci e non dimentichi più, forse perché hanno qualcosa che non hai mai visto in nessun altro.
Perché sto scrivendo tutto ciò? Non ne ho idea alcuna. Mi piace pensare che prima o poi questa marea di parole mi porterà a saper rispondere spontaneamente a quella domanda che potrebbe avvicinarmi più di cento passi e dalla quale continuo a fuggire rifugiandomi in un silezio ermetico. Mi hanno però portata a cercare di rispondere a tono ad un'affermazione di due giorni fa circa il bastare. Avrei dovuto dire che, se una persona capita di confonderla con la gente che si incontra, e si prova l'impressione penosa che questi individui non possano valere minimamente quella singola
compagnia, un'affermazione circa il non bastare altro non è che una  scusa, o una paura. E questa è la risposta più diretta che io riesca a scrivere.
Non mi sono persa, stavolta. Sono ancora qui, a sigillare scatoloni e parole, e a ripetermi di lasciarmi andare, perché a voler essere padroni di tutto, si finisce col diventare padroni di nulla. Perché le emozioni non hanno padrone e non temono il minimo controllo… subiscono. Subiscono e, quando si esagera, scoppiano come le guerre.
E allora, "dimmi tu cos'è, se questa non è guerra."

sabato 19 aprile 2014

Qui non ci sono cadaveri sotto al letto.

Mi hanno vista tornare trascinandomi dietro una borsa piena di vestiti messi alla rinfusa, libri e quattro moleskine stropicciati. Sono arrivata due giorni fa, senza ombrello nonostante la meteo prevedeva pioggie acide causate dalle nostre emozioni poco biodegradabili. E, magari, un giorno di questi, qualche ambientalista verrà sotto la mia finestra a manifestare contro il mio cuore inquinante, mentre mi affaccerò speranzosa, per poi tornare a sdraiarmi sul letto a scriverti del nostro giocare a fare gli indifferenti. Un gioco a cui non si può vincere mai, che non so neppure fare, poiché non so come si può giocare ad un gioco in cui devi fingere… Sembra il testo di una canzone di Vasco Brondi… 
Mentre qui ancora piove, ed è partita quella canzone nelle cuffie, senza sapere dove potrà atterrare. Mentre io scambierei volentieri qualche mio organo vitale per due o tre poesie indecifrabili, perché tutto ciò che provo a scrivere risulta essere ben lontano dalla lirica, e perché sai anche tu quanto pericoloso sia lasciar correre una penna quando non si sa dove andare a sbattere. 
Mentre c’è chi ancora non capisce, chi ha detto che ho fatto dei bei casini e distratta distruggo ogni cosa. 
Mentre ancora credo che nessuna canzone dovrebbe provare a dare all’amore un senso, nonostante proprio quel motivo continui a risuonarmi in testa e io lascio che lo faccia ancora, un’ultima volta che si ripeterà all’infinito.
Qui non ci sono cadaveri sotto al letto e, devo confessare che un po’ mi mancano. E non lo fanno solo loro. 
Mentre ancora faccio giri di parole mostruosi per evitare di porre l’accento su quelle parole che fatico a dire e, nel frattempo, esco senza ombrello e brindo a questo magnifico essere senza senso. Così, torna a martellarmi in testa quella domanda sul fatto che, qualora tutto fosse realmente privo di senso, come te li potresti spiegare questi papaveri che, ciononostante, crescono prepotenti sul ciglio della strada ? Allora ti chiedo, dove sia poi questa guerra da combattere ad armi impari contro la crudeltà dei sentimenti e del sentire ? Forse è dentro di noi, forse in nessun posto. Forse è finita da anni ma nessuno se n’è accorto perché hanno svenduto la bandiera bianca, forse è solo l’eco delle gocce di pioggia sul tetto, forse la guerra non esiste.
Ed io, sapevo fin dal principio che avrei finito per perdermi tra le lettere, andar fuori di testa e non capire niente.
E ancora cerco di convincermi che le distanze sono una cosa bellissima. E lo sono, di sicuro, ma vaffanculo. E ancora distanza, tra i miei pensieri e la penna, tra le mie parole taciute e quello che dico al resto del mondo. Ancora distanza, tra le gocce di pioggia e le mie parole che diventano anidride carbonica e si disperdono nella notte.

… Stammi a trecentocinquantacinque chilometri di distanza e corrimi addosso. A tre ore e tre quarti di macchina o cinquanta franchi di treno. Ma corrimi addosso.

venerdì 18 aprile 2014

"Mentre il cuore domanda: cos'è che manca?" (Poter dire tutto, facendo finta di niente.)

Vorrei riuscire a tornare a scrivere in modo semplice, lineare ed essenziale. Ma, ogni qualvolta io ci provi, il foglio non fa che riempirsi di frasi e pensieri sparsi, senza alcun legame tra di loro.
Tempo fa mi fu detto di provare a buttare fuori tutto a caso. Come se nessuno leggesse, ma cosciente tuttavia che qualcuno lo avrebbe fatto. E solo allora, lo scrivere sarebbe divenuto cosa reale e non un semplice grido al vento, grazie a quella presenza invisibile. Ma, al contempo, mi sarei liberata da qualsiasi paura di venir giudicata. Uno sfogo, un urlo rivolto a qualcuno ci cui avevo bisogno. Ho perso il conto dei giorni, da quelle parole, da quando ciò di cui avevo bisogno maggiormente era il fatto di poter urlare e non urlare di qualcuno. Oggi ? Mi ritrovo qui, a provare a scrivere chiedendomi se io faccia bene, dal momento che la questione che più mi preme è se io venga ascoltata anche quando sto zitta…

Sono nuovamente seduta alla finestra più alta di questa casa, guardo il cielo e mi accorgo di riuscire a veder meglio da questo buio quei puntini luccicanti che splendono anche nella polvere della mia stanza in disordine. Mi piace questa finestra spalancata sulla notte della primavera in arrivo. Mi piace l’amore quando ubriaca. Mentre provo a vivere con i miei difetti, con la musica sempre troppo alta per chi mi sta accanto, impilando a caso libri sul comodino e aggiungendo così dell'altra vacillante instabilità al mio equilibrio precario.
Ma va tutto bene.
Ho un qualche pensiero triste e due o tre sereni, mentre realizzo che sarebbe una grande cosa poter ottenere un abbonamento per il collegamento telepatico. Così potrei dire tutto pur facendo finta di niente. E magari riuscirei anche a scrivere una lettera in modo semplice, poiché scrivere è l’unico modo di aspettare senza farsi del male… cosa potrei dire ? Che qui, nonostante sia « un giorno scuro » e le mancanze si facciano fortemente sentire, io riesco a vedere davanti a me questa strada che sembra la notte intera… Ma forse qui il tempo si è realmente fermato, sono sempre le quattro del pomeriggio, e forse è solo l’orizzonte e non c’è quindi nulla da temere. Scriverei poi che desidero fortemente ricevere una telefonata notturna che mi svegli dalla mia stessa insonnia fino a farmi cadere in un sonno profondo, lasciando la conversazione aperta sul cuscino. Che non ho mai conosciuto persone in grado di sapere esattamente come prendermi anche quando non possono toccarmi. Che non sono per nulla sicura di quello che non sto facendo, ma potrei porre la stessa domanda se solo il coraggio non finisse qui : sul foglio bianco che mi accorgo aver riempito senza far inutili previsioni o piani, mentre ancora mi chiedo se esista realmente, tra un respiro e l’altro, il luogo dell’assenza e, « mentre il cuore domanda : cos’è che manca ? »

martedì 25 marzo 2014

Dovremmo essere infiniti.

Se non ho più scritto, non è perché ho imparato a battermi sul ring… "La gente crede che uno scriva perché non sa tirare di boxe e non ha fegato. Perché ogni scrittore è un potenziale assassino o serial killer, che non è capace di fare del male ad una mosca." Ricordate?
Non ho più scritto semplicemente perché sono stata troppo impegnata a "cercare di partecipare".
Il fatto è che, alle volte, la vita gira in un modo che lascia senza fiato e non c'è più nulla da dire se non che dovremmo tenere constantemente a mente di essere infiniti. Dovremmo essere infiniti perché dentro di noi, come nelle parentesi tonde, si può scrivere di tutto. Le persone, sono come i libri, vero: hanno tanto da raccontare. Ma vi differiscono per i capitoli che, nei primi sono opere complete, mentre ognuno di noi ha un oceano dentro sé.
Bisogna quindi scrivere non per catarsi, non perché gli altri leggano, o qualsiasi altro motivo vogliate tirare in gioco. A queste scuse, gli scrittori, si sono sempre opposti. Se si sono opposti, è forse perché hanno compreso che gli opposti si attraggono… ma, questa, è un'altra faccenda. Principalmente, l'hanno fatto perché consapevoli che bisognerebbe innazitutto scrivere per necessità. Scrivere poesie, racconti, canzoni, su diari, Moleskine, muri, post-it: poco importa.
Bisogna scrivere perché si arriva ad un punto dove è indispensabile dire quello che ci cresce dentro. Perché ora ho compreso che no, non ci si salverà unicamente disprezzando la realtà. Perché si arriva ad un punto di fusione dove i pensieri e le emozioni cambiano stato d'aggregazione, e la miglior cura resta solo la pazzia, la penna ed il foglio.

Se non ho più scritto, è perché sono consapevole che non bisognerebbe mai trascinare qualcuno dentro le proprie parole, poiché significherebbe portarlo a correre con noi in un campo minato, sperando di non esplodere. Perché le parole sono pericolose in sé già per il semplice fatto che risulta impossibile annullare quelle parentesi tonde. Impossibile, a meno che la somma di tutte le cifre in esse contenute non dia zero. Ma, dal momento che le emozioni così come le parole, si moltiplicano, i risultati nulli non sono contemplati.
Poi, chi sarebbe disposto a lasciarsi trascinare? Colui che potrebbe seguire una scrittrice dovrebbe essere pazzo, oppure aver posizionato di persona le mine.
Se scrivo solo ora, è perché ho trovato risposta ad entrambe le condizioni. Alla prima clausola, è fin troppo facile ribattere tirando in causa stelle e caos, nevvero? In quando alla seconda, basterebbe ritrovare in mezzo al caos stesso la cartina per muoversi tra le mine inesplose.
Se pur tornando a scrivere non riesco tuttavia ad esprimermi, è perché,
se potessi descrivere a parole ciò che provo, non sarebbe più un'emozione.

mercoledì 26 febbraio 2014

Credo che occorra un coraggio immane (contro i fiumi sottocutanei in piena)

Un foglio bianco davanti a me che temo di riempire. Una guerra da combattere ad armi impari contro la mia calma apparente e i miei fiumi sottocutanei in piena.
Una volta scrissi che scrivere significa correre in un campo di mine, sperando di non esplodere. Ora mi sorge spontanea la domanda circa cosa possa significare il silenzio. Cosa potremo contro quei fiumi quando questo si scongelerà da sé? Basterà questo spargimento di sale sul cuore per essiccarli? Non credo, è nell’aria quest’umidità, sotto un cielo più pesante di quello di Baudelaire.
Eppure. Eppure, credo che ancora non si possa pronunciare la parola “fine” fino a che uno non finisca realmente sotto terra, o a pezzi in una borsa, come cantava qualcuno.
Credo che in questo pezzo di mondo non sempre credere sia la scelta migliore ma, talvolta, in periodi di un nero spettacolare, pare essere l’unica strada non ancora inondata.
In cosa credere allora? E in cosa credo io, se poi lo riesco ancora a fare?
Credo che arrivi il momento in cui tutte le difese che abbiamo cercato di erigere, tutte le bugie che ci raccontiamo crollino sotto il peso dell’evidenza. E, la realtà, si sa, poco cede all’illusione.
Credo che non esista un amore travagliato al punto da scagionare ogni qualsivoglia gesto di violenza. Credo che quest’ultima collida fortemente col termine stesso di “amore” e credo che chiunque la usi non si meriti neppure d’esser chiamato “uomo”.
Credo che sì, la miglior arma possa sembrare l’indifferenza, ma anche che ad un certo punto sia opportuno anche un corpo meno adatto all’amore e più alla lotta e magari un sasso o una spranga.
Credo che la rabbia non porti nulla di troppo buono, ma energia nuova per poter almeno cercare di rialzarsi e sputare in faccia a chi ci ha ridotto accovacciati in un angolo.
Credo che dimenticare il dolore sia impossibile, e che quindi questo andrebbe accolto e riscaldato perché non possa più colpirci a tradimento col suo gelo.
Credo che il buio non sia un nemico da combattere o da temere, ma un alleato che ci avvolge e col quale possiamo parlare nelle nostre notti insonni. Che poi, l’insonnia, non è da combattere ma da cullare e da amare come qualcosa che ci appartiene e, come ogni cosa di questo tipo, detestiamo, pur serbando per lei un amore viscerale.
Credo che se poi esiste, un sentimento così viscerale, bisognerebbe scriverlo. Scriverlo a lettere cubitali in una lettera, giacché al giorno d’oggi nessuno ne è quasi più in grado, poiché per scriverla o strapparla occorre un coraggio immane.
Credo che dalla quiete, in fondo, non si possa trarre nessun insegnamento o crescita personale.
Credo che il cambiamento sia sì un lungo processo, ma che siamo noi a decidere quando questo debba cominciare e realizzarsi completamente.
Credo anche che ci sia un momento in cui tutto questo non si riesca ancora a metterlo in atto, ma credo anche che il solo pensiero non possa bastare. Il pensiero basta solo a chi è morto e noi siamo ancora qui. Ed io voglio sentirmi libera.

“libera da questa onda, libera dalla convinzione che la terra è tonda, libera dalla paura del futuro, libera perché ognuno è libero di andare, libera da una storia che è finita male.”