Giovedì 14 novembre 2013, ore 01 - Ottava lettera
Pensavo a quante allusioni di te sia pieno il
mondo, come ti ho scritto, sei ovunque. Poi pensavo a quanto, segretamente,
questo mi spaventi e quanto poco tu sappia di me, dopotutto. Ti va di ascoltare
l’essenziale visibile agli occhi ? La mia casa si sta riempiendo di
quadri, sì, ho ripreso a pitturare quello che non posso urlare, la
bottiglia di rum è ormai vuota, ma tiene il suo posto in frigo accanto alle
lettere d’amore che non mi scrivono più. Tutte le mattine, in punta di piedi,
controllo la buca delle lettere, sperando che ci sia una busta con magari la
tua scrittura e mi dico che, se non trovo nulla, è semplicemente perché sono
troppo piccola per vedere se non sia in fondo. C’è poi il caffé caldo e Jacques,
che ogni mattina fa l’impossibile per chiedermi qualcosa, elogiare i miei occhi
o chissà. Quello che è patetico, è il fatto che speri io gli risponda
diversamente che con un grugnito, dal momento che per me resta l‘"uomo caffé" a
prescindere. La strada per l’università, così affollata e distorta al mattino,
stanca la sera e allucinata la notte. C’è poi quell’anziano signore che vedo
ogni qualvolta io vada a fare la spesa, seduto al bar, vestito con una tuta
verde impossibile da ignorare, scarpe da ginnastica e, tieniti forte, un
cappellino verde di non so che crew. Mi fa una tenerezza infinita. Vieni a fare
spesa con me, che compriamo una bottiglia da dividere, qualcosa da scaldare in
forno mentre ci possiamo mischiare la pelle e le ossa sul tavolo ancora da
apparecchiare, che muoio dalla voglia di mostrarti quello strano individuo, e
di vedere la tua reazione.

Usciamo, qualche sera, con l’implicita
promessa di portarci poi a casa a vicenda, in qualunque stato si sia.
Litighiamo, avanti, scanniamoci e finiamo a fare pace violentemente contro il
muro, staccando i quadri dalla parete e lasciandoci lividi e graffi sul corpo.
Vieni qui, e dimostrami come può generarsi il caos.
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