Lunedì 11 novembre 2013, ore 19 - Sesta lettera
Non stiamo nemmeno respirando, sai.
Annaspiamo. Annaspiamo continuamente. Sì, penso lo faccia anche tu, salvo poi aver
paura di uscire dall’acqua, a giusta ragione. Ho imparato che che per non far
sì che chi sta affogando tiri sott’acqua anche chi vuole salvarlo, questo, lo
deve tramortire. Chi di noi avrebbe il coraggio di tramortire l’altro ?
Forse coraggio ce ne sarebbe, ma si esaurirebbe nell’atto, e verrebbe poi meno
la forza di tirarlo fuori dall’acqua. Ho provato perfino a parlare con mia
madre oggi, sai ? Certo, non le ho detto di te, del fatto che ancora ti
scrivo : mi avrebbe creduta impazzita del tutto, e già non riesce a
comprendere minimamente come io mi senta, figuriamoci il resto… Per questo non
posso tollerare questa distanza tra i notri pensieri e quello che ci dicevamo
normalmente.
E, magari, sta sera lascio tutti a bocca
aperta e me ne vado, sparisco e fanculo. Sai cosa mi fa ridere
convulsamente ? Che non se ne accorgerebbe nessuno prima di, vediamo,
almeno tre giorni ? Che sto dicendo ? Non farci troppo caso,
sto ancora aspettando il momento in cui finalmente usciranno le farfalle che ho
nello stomaco, e sarò in grado di ritrovare le parole, quando le parole delle
persone non saranno più in grado nemmeno di sfiorarmi il mio caos interiore, e
sul soffitto non vedrò più affreschi di sogni sfracellati. Il problema è che so
non potermi abituare, a queste cicatrici, così come a quei lividi che il nostro
scontro mi aveva lasciato impressi. C’è quel che resta di me, che se ne sta
distesa per terra dopo la tragedia. Non sa nemmeno descriverla, questa tragedia
perché nessuno non le ha mai dato né ascolto, né tanto meno importanza. E
tu ? Dimmi, cosa ti dicono ? Lo sai, vero, che qualcunque cosa sia è
solo ridicola, almeno tu, lo sai ?! Quanti colpi bisogna inferire a un
corpo minuto come il mio, perché la smetta di provare dolore ? Credevo ci
fosse voluto di meno. E invece ancora sono qui con la nausea. Coi caloriferi
spenti, perché non c’è un cazzo di uomo che possa aiutarmi a farli funzionare,
la coperta che abbiamo sporcato sulle spalle, e il latte che straborda ed esce
dalla padella perché, l’ho già detto, una come me è persa, se mette troppo
latte a scaldare. Cosa ti direi se mi raccogliessi ora ? Probabilmente che
potevi metterci anche meno, che ti prenderei a pugni, ma sono troppo debole per
farlo, e che ho capito tardi che non potremmo mai più odiare chi abbiamo visto
dormire. Ho pure cercato di mettere su tela quello che ho dentro, dal momento
che ancora non trovo le parole per descrivelo, ma il risultato non mi ha
soddisfatto, dal momento che non hanno ancora messo in vendita il colore dei
tuoi occhi. Non provare a scuotermi, la tua arroganza, mi fa impazzire. Dentro
di me, esisti in un modo che mi atterrisce.

Mezzanotte
Perché mi hai rivelato a me stessa ?
« Mi assordi, come fai… ti subirò. » Ricordi ? Dovevi lasciarmi
perdere in me, chi ti credevi di essere ? Ma la febbre sale e mi fa fare
pensieri infondati, oltre lo specchio non c’è nessun mondo, i funghi così come
le medicine non fanno alcun effetto, ho superato da un pezzo la soglia del
delirio e parlo già da sola… E chissà cosa esce a mischiare il verde oceano col
blu mare… Sono persa, e tu lo sai. È il tuo effetto sulle mie molecole e,
mischiato alla febbre, è un mix incredibile.
Non voglio asciugamani imbevuti di acqua
ghiacciata, portami del rum e il ghiaccio lascialo scorrere tra le mie costole,
che se fossimo in un film e se la febbre si alzasse ancora, magari « ti
dicevo che ti amavo, coniugando anche male i verbi, così ». Ma siamo
meglio di quegli squallidi cliché, e quindi non diciamo nulla.
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