Sabato 16 novembre 2013, ore 23 - Decima lettera
La febbre ha nuovamente deciso di tenermi
compagnia, questa notte, mentre, magari, il caldo accompagna anche te verso la
finestra. La vedi, quella luna imponente, che ci illumina mezzo
viso ? Come sta, la tua parte in ombra della luna ? La mia, non
riesce a dimenticare : le sembra un’utopia irrealizzabile e, allora, cerca
di smettere di ricordare. È una cosa così assurda, questa dipendenza :
« domani smetto », e, invece, domani è un altro giorno, e tutto
ricomincia, e che cazzo. Assurdo, come questo volersi ma non cercarsi, perché
consapevoli che, qualora si accennasse anche solo l’intenzione di farlo, ci si
ritroverebbe immediatamente. Non sarò certo io, a cercarti, di questo non ti
devi preoccupare : resto alla distanza necessaria, per evitare
un’ulteriore collisione, che possa lasciarmi dei segni ben più profondi di un
qualche livido sul corpo. Se mi fosse possibile, starei ancor più lontana da te.
Sorridi ? Sto mentendo, e, ancora una volta, dannazione, non posso
contraddirti.
I segni sul mio corpo sono ben visibili :
« è penoso » come succhi il mio « corpo asciutto »,
ricordi ? Hai insistito tu, perché ascoltassi quella canzone, come se la
musica potesse curare un dolore così grande. Ho poi detto di aver smesso di
cercarti. Vero ma, silenziosamente, ti chiamo in continuazione. Non ti sembra
possibile ? Vuoi capire che quello che sento dentro mi sta disintegrando ? Posso mentire : dire che ti ho dimenticato, che di me posso fare quello
che voglio, che oggi, nella tua vecchia città non ho pensato di stare passando
in strade che hai sempre percorso tu, e che avrei voluto essere lì, a correre
con te, quella volta che, correndo,
ti sei sentito vivo. C'era chi non voleva correre. Ricordi ? Insomma, potrei
dirti che è sabato sera, sto bene, sono in giro con gli amici che non ho, a
parlare di cose che non mi appartengono, in una città che odio e non sento più
mia.
Potrei poi ribadirti che sì, ho smesso di
cercarti. Queste sarebbero bugie plausibili. Ma come la mettiamo col fatto che
smettere di odiarti e, di conseguenza provare l’opposto, è tutta un’altra questione ?
Perché, mi chiederai. Guardami, guardami negli occhi, così che io possa fare
uno sguardo impenetrabile e dirti che è successo perché doveva, perché mi hai
sbattuto la realtà in faccia quando cercavo riparo dietro a qualsiasi scusa per
non vedere, perché proprio in quel momento, hai smesso di darmi un senso, e
vedermi realmente. Il fatto è che tu mi hai travolta quando già ero distesa a
terra, all’improvviso, in quelle notti bianche come il cielo del passato
febbraio, tutto senza che io potessi fermarti. Ti sei infilato nelle mie vene
senza nemmeno il bisogno di un laccio, di un ago e di prendere le misure. Ti ho
lasciato fare, pensando di poter smettere in ogni momento io volessi, salvo poi
accorgermi troppo tardi che non sarebbe stato possibile, perché avrebbe voluto
dire dover rinunciare a quella parte di me che eri riuscito a rianimare, mentre
se ne stava a terra : tra i piatti rotti di una schifo di relazione vuota
e a senso unico, ormai finita. Hai creduto che questo ammasso di ossa
psicolabile, se provocato al punto giusto, avrebbe ancora potuto reagire, e
ritornare ad alimentare quel poco caos ancora presente in sé.

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