sabato 22 dicembre 2012

Ci avrei pensato io (con una mazza da baseball)

Ciao sorellina, è tanto che non ti parlo, anni credo. Non ti parlo da quando raccolsi tutta la fantasia e la buttai nella pattumiera. Da quando il cinismo superò la fiducia.
Oggi, ti scrivo.
Vola in alto. Io stessa ti avrei sollevata sopra le mie braccia finché la tua statura me l'avrebbe permesso, poi, quando questo non sarebbe più stato possibile, ti avrei ricordato metaforicamente di farlo sempre. Vola in alto oltre tutto questo odio di cui è intrisa la gente, e abbi fiducia solamente in te e nelle tue capacità. Non affidarti, fidarti di nessuno: questo mondo è crudele.
Poi, sappi che saresti stata bella, te l'avrei ripetuto fino alla nausea: tutte le ragazze hanno il diritto di sentirsi dire ciò.
Cadi, e fai sì che quelle cadute servano a rafforzarti e a non piegarti né accontentarti mai.
Sii poi ben in chiaro sul fatto che i principi non esistono, né tanto meno arrivano su cavalli bianchi muniti di spada e coraggio. Qui, semmai, arrivano su biciclette, auto, moto o a piedi e il coraggio non è una loro prerogativa. Ma non lasciare mai che nessuno di loro faccia cadere la tua, di corona. Non permetterlo mai e non lasciarti abbagliare da qualsivoglia luccichio. Una scintilla dura pochi secondi, poi resta il buio. Non averne paura, come non averne neppure delle ferite in fondo all'anima, ne avrai sicuramete, ma tuttavia porterai con te una luce. Non spegnerla mai, non permettere che nessuno la spenga mai. Qualora fosse capitato ci avrei pensato io. Con una mazza da baseball.

martedì 18 dicembre 2012

La decisione più coraggiosa. (Quando ti buttano a terra.)



La decisione più coraggiosa che puoi prendere in un giorno è di essere di buon umore, diceva Voltaire. Vero. Ma, ci sono delle volte in ci sono talmente tanti pensieri che parlano nella mia testa che, per capirsi urlano e ciononostante non arrivano ad un accordo. C’è talmente tanto casino che il mondo fuori lo si sente appena, passa come un’ombra e la vita se ne sta tutta nei pensieri. Il problema è che a lasciarli andare, i fatti che provocano rabbia o dolore, ci si consuma dentro. Il problema è esserci, essere sempre presenti, invece qualche volta bisognerebbe anche sparire.

Io, di male non voglio farmene più dissi un tempo e così ho fatto. Ho deciso di cambiare e ho lottato con le unghie e con i denti scoprendomi capace di una forza che neppure immaginavo di possedere. Non ho promesso. Non ho detto nulla. Ho agito. La fregatura con certe persone è che per quanto ti facciano bene più di ogni altra cosa al mondo, ciò accade pure per quando fanno l’esatto contrario, che riescono a parlare meglio di quanto non riesca una scrittrice. Il fatto è che la maggior parte della gente dice cose senza che le pensi realmente, e io pure. Sono tante le parole che si dicono per ferire o addirittura per farsi odiare. Ma, se le parole non bastano per farsi amare, non sono sufficienti nemmeno per il loro contrario. E con questo, questione chiusa.

Il fatto è che, se sul fatto che “il meglio deve ancora venire” sono certa, ho seri dubbi al riguardo che il peggio abbia finito di dare il meglio di sé. Io sono stufa di questo. Io dico basta.

Sono stufa di chi parla, parla, parla finché non trova qualcosa da dire. Di chi predica bene e poi razzola male e di chi non parla per non affrontare i problemi. Mi danno sui nervi. Mi hanno fatto sta male, insonne, mi hanno fatto cadere. Cadrò ancora, senza dubbio alcuno. Cadrò ma vi giuro, un giorno mi rialzerò e tirerò un bel dritto a chi mi ha fatto cadere.





 

venerdì 14 dicembre 2012

È un po' come fare l'impossibile. (Quello che ho dentro non ha parole)

Se quello che fino ad ora ho detto sembra non avere importanza, è forse perché i miei discorsi non sono mai abbastanza esaustivi da apparire come completamente sinceri; o forse perché semplicemente quello che sento dentro non ha parole per essere raccontato. Forse perché i sentimeni più forti li ho gridati fino a perdere fiato e voce. Sappiate, però, che tutto quello che ho scritto mi è capitato.
Oggi non griderò. Si può anche scrivere sussurrando: sussurrare fa tremare la voce e rabbrividire la pelle.
"Ciao. Volevo solo chiederti se dopo tutto quello che hai passato resti sempre la stessa..." Mi ha chiesto qualcuno ultimamente.
Ciao. Dopo la tempesta non si ritorna mai più ad essere quelli che si era prima: la vita macchia la pelle di cicatrici indelebili senza risparmiare nessuno, e le cose vanno sempre come devono andare. Restano però i sogni sotto al cuscino e i mostri sotto il letto. Resta il fatto che nonostante il fatto che la vita mi abbia insegnato più di quanto pensavo di potere imparare, resta sempre l'impressione di non averci capito molto. Resta sempre l'evidenza che per non sbagliare si faccia pur sempre una grande fatica. Restano i miei capelli indomabili, l'indecisione cronica, un etto e mezzo di fiducia e chili di paura.
Resta il bisogno di avere qualcuno affianco, perché alle volte tutto si fa buio, le persone spariscono e la realtà fa paura: di questo, ho sempre avuto un grande terrore.
Resta lui, che in quei momenti di panico mi lascia contare sulle sue forze, sulle sue braccia credendo nelle mie, di risorse. Lui che mi descrive come un gatto che ruggisce, che mi tira furi la grinta provocandomi: tutte cose che mi fanno avere il coraggio di ammettere che sono forte, la convinzione di poter ricomporre tutto come un puzzle.
È un po' come fare l'impossibile che si rivela pou essere il suo esatto contrario, perché so che mi rimproverebbe: "Non fingere di farlo. Fallo e basta!" Vero.
Credo fermamente che, se fai in modo di apparire più forte, le persone ci cascano e ti temono.
Io più forte? Impossibile ma, tuttavia... esattamente il contrario.

giovedì 29 novembre 2012

Siamo strani (noi scrittori)

Siamo persone strane, noi scrittori, o perlomento, questo è quanto dicono di noi.
Strani perché ognuno di noi ha le sue cicatrici, ha la sua storia. Nonostante queste ferite, però ognuno ha in sé la sua luce propria, odia brillare di sostanza riflessa. Diversi perché ci vuole coraggio a parlare della tempesta che ci imperversa dentro, tanto, la neve, se ne frega.
Eppure non è molto complicato trasformare i propri pensieri in parole se c'è qualcosa, qualcuno il più delle volte che ci dia modo di eseguirla...
Ci piace porre i verbi al posto giusto perché possano causare l'effetto desiderato a chiunque leggesse, eppure, eppure parlando ce ne facciamo ben poca cosa. Abbiamo parole difficili, a voce, noi scrittori.
Fa parte di noi anche l'essere testardi, o eccessivamente dolci, di non essere capaci di tenere un discorso in pubblico e possedere una timidezza così spiccata da non permetterci neppure di provarci. Non siamo gentili noi scrittori: le parole devono ferire a morte. Non siamo capaci di perdonare né perdonarci mai.
Eppure, disprezziamo la parola "mai" come chi si crede cinico quando invece è solo deluso. Disprezziamo il mai e amiamo tanto da sposare il "per sempre", salvo renderci poi conto che il primo ci resta accanto e dal secondo divorziamo qualche frase più in là.
Il per sempre lo amiamo senza saperne godere, come un maglione troppo grande per noi che ci rende agli occhi degli altri ancora più particolari. Abbiamo freddo, perché anche gli scrittori hanno il bisogno estremo di qualcuno che gli stia accanto, che finché quel maglione calza largo lo si può indossare in due.
E ancora ci ritroviamo a chiederci se esista qualcosa capace di perdurare all'infinito.
Risposta non c'é. Forse il mio infinito sei tu, forse noi scrittori sappiamo solo scrivere e camminare sentendoci persi nel bianco di questa neve che cade e non si cura di niente e nessuno, nel bianco di un foglio da riempire, tra le pagine di un libro consumato.
Di una cosa, però, sono certa: tu sei il mio inizio, quello che mi spinge a scrivere ciò che sento. Che mi ha fatto capire di non volere più vedere, né fare filosofia su cosa siano i sentimenti, ma solo sentire.
È questo il segreto di noi scrittori: non risulta difficile la trasformazione di pensieri in parole se c'é chi ci da modo di eseguirla. Il mio, sei tu.

lunedì 26 novembre 2012

Non vi vedo. (Mentre io splendo, voi vi spegnete).

Ho parole mai dette, dolori assimilati e rabbia indigesta, datemi la voce che le grido, o meglio, una penna che scrivo e credo sia meglio così.
Lasciamo che i graffi possano bruciare, che se si disinfettano, poi, lo fanno ancora di più. E brucia, brucia ancora questa rabbia assimilata; quella rabbia che mi spingeva a non comprendere più con che parole volevo descrivere quel disordine interno, poiché, dalla penna, uscivano solo urla. Avevo tanta energia da non chiudere occhio la notte e lasciare cadere lacrime salate su chi se ne è, ed era andato.
Ma, ora, ora ho tanta energia che potresti fare a pezzi il mio mondo ed io, lo ricostruirei. Perché, se in questo momento quelle persone mi guardassero negli occhi, tremerebbero. Lo farebbero come recita quella canzone: perché “amare non è un privilegio, ma solo abilità: è ridere di ogni problema, mentre chi odia trema.” Tremate. Tremate perché ora so, vi ringrazio delle pugnalate alle spalle e dello sciacallaggio, ora so che sono abbastanza da meritare di più, da non meritare di sentirmi così. Io, mi merito qualcuno che resti.
Qualcuno che resti nonostante quei momenti in cui ho lo stomaco chiuso e il cuore gelido, quando ho paura di non sentire più niente: nessuna emozione né battito accelerato. Ma, spiegarlo a loro è un discorso inutile, adatto solo a chi riflette e mette in ordine i pensieri e la sua vita: non lo capiterebbero mai. E, allora, riordiniamoli, questi pensieri: dall’ultimo al primo, dal primo che trovo fino a quello che sento essere l’ultimo.
Di, errori, è vero, ne ho fatti tanti, ma nessuno è sbagliato: sbagliate, invece sono le azioni fatte in mala fede, chi si accaparra in modo meschino qualcosa che prima ti apparteneva ed occupava un posto dentro te. La sincerità no: non può mai essere errata la sincerità. Sbagliato è regalare rose senza il cuore che batte, illudersi di qualcosa che non sboccerà mai. Povera gente, mi fa quasi pena. Io, io vado fiera delle mie spine. Troppe persone sono come le rose rosse senza spine, senza la capacità di opporsi mai e, così, perdono parte della loro bellezza: chi vorrebbe una rosa priva del suo dono?
Io, ho sempre sorriso: quelle persone non meritano neppure che io mi sforzi di togliergli la parola o sprecare energie per contrastare le loro meschine azioni. Io, come ho già detto, ho bisogno di qualcuno che resti, e se quel qualcuno si lascerà soggiogare, allora, preferisco mille volte perderlo piuttosto che vivere con Giuda al mio fianco. Ho sempre il sorriso. Ho sempre sorriso anche se dentro muoio.

Poi tu, sai, non sarò mai la ragazza capace di farti dimenticare i problemi del mondo. Io, al massimo, ora come ora sarei solamente capace di metterti le braccia al collo e crollare, e mi dispiace di non avere lacrime di cristallo ed amare la pioggia. Però non importa, ora stiamo bene, stai bene, sto più o meno bene e va tutto bene così. Forse era questo l’amore che desideravo da qualcuno capace di restare, senza nemmeno rendermi conto dell’immensità che mi ha creato dentro.
Forse questa giornata è iniziata male, e mi fa pensare ai miei incubi notturni che non mi fanno riposare, forse oggi piove e il sole non si vedrà.
Ma, voi, sappiate che io, la pioggia, la amo. E ho tutta l’energia del mondo anche se sono giorni che gli incubi non mi mollano, perché finite le lacrime rimangono le urla, finite le urla ci si può solo rialzare. Oggi è diverso, oggi non muoio più. Oggi non piango e non chiedo nemmeno vendetta: niente paura, ci pensa la vita, mi han detto così.
E, mentre io splendo, voi dove siete? Non vi vedo. Mentre io splendo, voi vi spegnete.

martedì 13 novembre 2012

E le macerie dopo la bufera (mi abituerò)

Ho imparato che è meglio lasciare scaricare i fulmini a terra, prima di riaprire l'ombrello.
Ho sempre tentato di tenere lontana la tempesta. Sempre ci sono riuscita, finché la sua grandezza non cominciava a sovrastarmi, finché le mie mani riuscivano ancora a contenere nuvole e l'inchiostro sul foglio non sbiadiva sotto le goccie salate dei miei occhi.
Ora? Trovo sia così tragicomica questa vita che riesce a mutare totalmente nel giro di quasi un anno: strade, palazzi, vicoli cieci, amicizie, sguardi e parole ammutolite... cambia tutto, cambiamo anche noi. Il fatto è che ogni finale è anche un principio, solo che, quando sopraggiunge, lo si ignora. Il fatto è che, se riuscissi a descrivere a parole quello che provo, non sarebbe più un'emozione.
Cambiamo e non sappiamo cosa fare, ritornare indietro o vivere quello che sta accadendo? Peggio, forse meglio, chi può dirlo? Neppure questo sole che non si fa vedere da giorni eppure c'è, eppure è lì per quando ne avrai bisogno. Lui è lì. Non finge, lui c'è e basta.
Sto solamente cercando di fare ordine: mettere da parte i problemi e le discussioni a senso unico, quello che è rimasto a deperire in noi, promesse non mantenute ed aspettative deluse, paure e illusioni, sapori amari e scarse speranze riflesse nei frammenti dei miei occhi che ora come ora sono grigi come il cielo di novembre. "Non puoi pretendere la profondità da una pozzanghera."
Vero.
Ricordatelo, impara a cavartela da sola, che quando sarai al buio giocheranno tutti a nascondino... e non dovrai ritrovarti mai più a sussurrare nell'oscurità: "Dove sei?"
"Vattelo a prendere." Mi hanno sempre risposto, mi sono sempre lasciata convincere, ma ora mi chiedo: "Tu, sei mai tornato a prendermi?"
Forse non cadrà la pioggia ma la nebbia di questa città. Ci sarà nebbia ed io non ti vedrò.
C'è stata la nebbia, la tempesta, e tu non mi hai cercato. Forse perché ci siamo persi in essa, con essa.

E allora, ritornano, ritornano quei momenti dove devi solo scappare, come recita quella canzone, coprire il tuo amore, ma non nasconderlo sotto il mantello. Passerà qualcuno un giorno, qualcuno che valga la pena e debba vederlo?
Arriva quel momento dove hai bisogno di non dare più ordini né chiedere più nulla a nessuno, dimenticarti di responsabilità e compiti, avere tutto da imparare e nulla a cui pensare.
E vorresti essere appensantita solo dai libri e non dai pensieri.¨

E, un giorno, non ci sarò neppure io. E forse un giorno non ci sarò quando piangerai, perché tu non ti sei accorto mai, non hai mai badato ai miei silenzi.
Scusa se non ti vedrò. Scusa se non mi riconoscerai, tanto neppure pochi giorni fa mi hai conosciuto.

Ma, gli occhi, sono sempre quelli, anche se ora sono forse più profondi, umidi certo, ma non vuoti. Vuoti mai, perché ho ancora la forza per rialzarmi mille volte e più. Non ho bisogno di nessuno, io, perché quando sono caduta nessuno mi ha mai tirato su da terra, pulito le ginocchia e medicato le mani.
E il sole non si vede ancora, ma da domani mi scalderà nuovamente. E tu, lasciami splendere, che dell'apparenza, a questo punto potrei fare senza...
è di sostanza che non so se ne ho abbastanza.

domenica 28 ottobre 2012

In amore, non si vince mai. (Amor vincit omnia)

Sono tornata, fenice, più forte di prima. Credo che nella vita ci sia bisogno di attimi di silenzio, di tormentata pace e sere a letto presto, mentre fissi la luna piena e vorresti smetterla di pensare.
Credo che i silenzi siano necessari per fare il punto. E ricominciare a scrivere la propria vita.
E vorresti di più. Più sogni e meno desideri sfuggevoli, più sole e meno vento gelido, più gelato e meno complessi, più amori che rimangono e combattono.
Noi, noi siamo il "più". Pensaci, due meni moltiplicati non danno forse somma postiva? Ma in matematica non sono mai stata afferrata, io. Tu? Il mio esatto opposto.
E vorrei più differenze per fare come le calamite ed aumentare la capacità magnetica di attrazione.
Mi sono presa il mio tempo, il mio spazio, le mie paure, la mia rabbia. Mi sono ripresa me stessa.
Ricordate quel groviglio di capelli rossi? Domati. Tornati in nero, ma non al nero.
Ricordate quei sogni troppo grandi sul cuscino e le aspettative deluse? Punti e sgonfiati con rose rosse.
Tutti abbiamo sogni della grandezza di un pugno e cuori che non resistono all'impatto. Tutti abbiamo paure, debolezze e, soprattutto, bisogno di sentirci amati.
Abbiamo la facoltà di sognare e non ricordarci cosa. Bisogno di vincere, arrivare primi e tagliare il traguardo o sbattere a terra sul ring l'avversario.
Mi sono presa il mio tempo ed ho capito. Ho capito che, però, in amore no: non si vince mai.
Mi sono presa il mio tempo, persa nelle pagine consumate di un libro, ed in una canzone che troppe volte ha assaporato le mie lacrime.
Io non ho bisogno di nessun eroe. Non ho bisogno di nessuno che sfidi draghi o i miei mostri sotto il cuscino, né di collier di diamanti o imprese eccezionali.
Ma ho bisogno che qualcuno veda oltre il mio sorriso, senza perdersi nel blu degli occhi liquidi.
Di una coperta calda, che l'inverno è tornato a soffiare da sotto la porta il suo alito gelido e una cioccolata calda che il mio umore altalenante ringrazia commosso, sia mai che gli occhi vogliano seguirlo...
Ho bisogno di te. Che, quando non ci credo più neppure io mi ricordi che:
"amor vincit omnia".

domenica 14 ottobre 2012

Saremo luce, che attraversa il buio e profumo di brioches la mattina. (Sai, amore)

Alle volte penso che dovrebbe esserci un orario, la sera, in cui tutti decidono di accendere la luce.
Un orario, la mattina, in cui tutti siano svegliati dal profumo di brioches di quando erano piccoli.
E un giorno, nella vita, in cui tutti decidono di amare, di esprimere ciò che provano.
Quel giorno non è ancora arrivato. Ma io, ho fede, sapete questo mondo e questa vita, facili combattenti non sono.
Sai, sono di parole difficili io. Le parole non mi rispecchiano. Io sono punteggiatura, inchiostro su una pagina bianca, pause, respiri, silenzi, esclamazioni e soprattutto punti interrogativi.
È difficile cavarmele dalla gola, è difficile trovarmi, sono negli spazi tra le parole, là dove è difficile entrare, lo so, è insopportabile.
E vorrei riuscirti a dire che quando litighiamo le mie energie si spengono come quando usi troppo il computer, scrivendo a notte fonda, e la batteria cala. E ora che tutto è al suo posto, mi fa paura: è un po' come chiudere gli occhi e lasciarsi cadere all'indietro senza sapere se la terra ci sarà quando ne avrai bisogno. È un po' come prima, quando non litigavamo ed eravamo solo felici.
Vorrei dimostrarti con gesti e parole ciò che provo per te. Perché forse, non lo faccio mai abbastanza. Non dimostro mai tutto quello che sento, perché mi è difficile, perché non trovo le parole, perché, perché, perché sono un disastro.
Ma sono un disastro che può essere maldestro, buffo e che so che ami.
Per la prima volta, non voglio che finisca. Per la prima volta, non voglio cambiare.
Per la prima volta, sono stanca di scappare.
Troppe volte sono rimasta in silenzio e non avrei dovuto. A partire da quando mi dicesti "ti amo" sotto la neve, con la casa in fiamme, ricordi?
Ho avuto paura, è vero, ed è anche vero che non ci ho creduto.
Ma, sai, le parole, alla fine le ho sempre trovate. Ci ho messo un po', hai ragione. Ma è tutto qui.
Ci ho messo molto, vero. Ma è per amore.
Ma è amore.

domenica 23 settembre 2012

Vorrei dirti ora, le stesse cose. (Ma come fanno presto, amore,ad appassire le rose).

Sarà che mi sono sempre sentita un po' diversa, rispetto agli altri. Sarà colpa del mio nome, sarà che non ho ancora capito se la mia sia una condanna o una salvezza. O, forse ho appreso tempo fa com'è ridotto questo mondo, come ci si può ridurre a pelle ed ossa, che effetto fa il digiuno di vita ed amore. Certo, preferirei rimanere nell'ignoranza come la maggior parte delle persone, ma non sarei quel groviglio di pensieri disordinati e capelli che sono. Che, poi, se la gente non si ostinasse a mettere ordine nelle cose, ma assecondasse il casino universale e ci suonasse sopra, vivremmo tutti meglio.
O peggio? Non so. Fattostà che io, lascio i miei capelli così, così il vento mi trasporta di più, perché se li tagliassi non sarebbero più gli stessi che avevi accarezzato tu.
Ed ora, cerco la mia vena poetica. E le parole non escono come rondini perse nell'aria. E scusate se non riesco a dare un senso a ciò che scrivo, ma forse, un senso non ce l'ha. Forse perché nessuno ha ancora capito come funziono, anche perché, le funzioni, sono sempre state incomprensibili alla maggioranza delle persone, me compresa. Il fatto è che se sono incredibilmente lunatica, e se cambio umore spessissimo, forse, è solo perché ho bisogno di attenzioni, sicurezze. Eppure le certezze sono poche. Sono poche, e a rimanere sono solamente le abitudini e quelle piccolezze che non si staccano dai vestiti e dalla mia testa. Forse vorrei solo riavere la certezza di poter usare le parole "io" e "forte", "io" e "te", "noi" nello stesso contesto. Ridatemi la vena poetica, ridatemi queste certezze, ridatemi tutto....
Guardaci: cosa siamo diventati io e te?
Ma lo vedi che ho il mondo dentro agli occhi anche se non emetto parola?
Respira, cosa vorresti sentire?
Forse questa è solo una di quelle notte dove i sogni sono troppo grandi e lontani e le illusioni ci fanno sentire marci, quando tutto ciò che importa è la luna che filtra dalla finestra e le parole sul foglio ed il té non dovrebbero finire mai.
So che a questa età il mondo non è mai come vorremmo: vero. Eppure c'è, eppure ruota e domani la pioggia di settembre bagnerà nuovamente i miei libri di scuola, eppure va amato. Forse dovremmo lasciare alla vita la capacità di sorprenderci.
Io, ho paura. Tu? Di cosa hai paura? Di amare, di amarmi o si non potermi amare abbastanza? Perché se così fosse, allora dimmi, che senso ha aspettare che la pioggia di settembre porti via questa confusione?
Sono qui, sono qui col mio cuore in mano, con una penna di troppo e un foglio bianco da riempire perché è l'unico modo che ho riappreso per comunicare quello che mi scorre nelle vene. Perché se non sccrivo la testa rischia di scoppiare e non lo desidero. Sai, preferisco danzare tra parole e dichiarazioni, che tra silenzi e scatole vuote. Eppure c'è silenzio in questa stanza, ed è ben visibile. Pesa. Uno di quei silenzi che vedi e ti spaventa. Uno di quelli a cui non puoi urlare contro, opporti. Resisteranno ora, al freddo glaciale le tue parole? Resisteranno ancora le mie foto sul muro e i tuoi mancamenti d'aria? I miei polmoni resisteranno agli abissi dei tuoi vuoti? Ora che, come recitava quella canzone "non ci facciamo compagnia". Ora che tu dormi su queste insicurezze ed io scrivo? Ora che ho deciso d'imparare a coltivare non una, ma ben due piante, io che sono sempre stata negata in questo?
Non ho bisogno di ciò che mi manca. Ora come ora, mi serve solo quello che ho. Però mi serve forte: fortissimo, altrimenti non sarebbe abbastanza. Sai, non c'è mancanza peggio di qualcosa che hai e, nonostante ciò, ti manca.
Non voglio promesse: sono solo parole, non servono a niente. Eppure, eppure non riesci a non dirle, vero? Non voglio che ci promettiamo di stare sempre insieme. Se proprio dobbiamo prometter qualcosa, allora, promettiamoci che, se ci faremo del male, sarà per poi farci più bene. Che arriveremo anche ad odiarci, pur di non restare indifferenti. Ma, soprattutto, che se continueremo ad amarci, ci ameremo come prima. Ci ameremo troppo, perché un po' meno non sarebbe abbastanza.

mercoledì 12 settembre 2012

Se amarti fosse un reato. (Vorrei dirti)

Odio quando apro la bocca e non emetto suono alcuno. Quando il mio cervello prende giacca e ombrello e se ne esce a fare un giro.
Eppure, eppure vorrei urlare, urlare forte.
Vorrei dirti che odio quando tagli i capelli perché mi piace intrecciarci le mani. Ti ho mai detto che resterei sotto l'acqua corrente per ore e ore anche a costo di ammalarmi di una febbre a centottanta gradi? Centottanta? Sì proprio così, come gli yogurt.
Sai, alle volte quando giriamo per strada mi rendo conto che pare sia difficile non starci a guardare, per la gente. Potremmo tenere una raccolta differenziata di invidiosi, gelosi e meschini. Ci sono strade di gente che ci fissa e tu nemmeno ci fai caso, vero? Loro non sanno che resisteremo, resisteranno i sedimenti di noi su queste strade, su queste panchine e sui libri aperti sui nostri comodini. Resisteranno al freddo glaciale dell'inverno le tue parole, al caldo torrido i tuoi sorrisi. Resisteranno ancora le nostre foto sul muro, resisteranno agli abissi dei miei vuoti.
Vorrei dirti poi che è stupendo quando arrosisci, non credevo neppure che ne saresti stato capace, se ti parlo di me, di quello che provo. Sai, vorrei non avere paura delle parole come non ne ho della penna. Sai, se amarti fosse un reato, sono sicura che mi farei arrestare nel giro di cinque minuti e mi beccherei un bell'ergastolo.
Amo quando ammazzi i miei fantasmi, quando mi sveglio di soprassalto nel cuore della notte in preda agli incubi e tu mi decapiti il buio.
Ti direi poi che ho paura di pederti ogni giorno di più e, allora, mi allontano: mi nascondo sotto un castello di carte pregando che non arrivi il vento... Vorrei dirti che ti amo più di qualunque cosa al mondo, e che odio usare la parola "cosa" in una frase del genere.
Sai, non è finita. No, questa valanga di parole non dette non è ancora finita.
Devo ancora dirti di quando mi hai presa e sollevata da terra, dove mi ero accucciata con i pugni chiusi a difendere quel che restava del mio cuore. Devo ancora dire tutto.
Devo ancora dirti grazie. Ma le parole rimangono incastrate in gola.
Allora scrivo. Scrivo delle lacrime, di tutte le volte che abbiamo litigato e fatto pace... scrivo perché siamo ancora qui, più forti di prima.
Potrei scrivere poi di quella notte in cui tutto bruciava e mi hai detto ti amo. Non sono riuscita a fare altrettanto. Scrivo di qualcosa che spero non finisca e non dico mai, perché il mai non esiste.
Sai, sei un po' quello che più di bello possiedo e forse non lo sai.
Ora ti chiederai da dove prendo tutta questa folgorante dolcezza... forse da questa sera d'inizio autunno, dove soffia un vento che fa fremere le ossa e tu non sei qui.
Forse perché in momenti come questo prendo consapevolezza del fatto che cambieranno anche le abitudini, città, vita, ma rimarrà comunque la stessa sostanza e, di certo, in sostanza io ti amo, sebbene ogni giorno lo faccia in modo diverso. Forse perché siamo due anime dalle ossa un po' rotte, ma dai sentimenti ancora intatti.
E loro, loro che ci guardano, loro che non sono tornati hanno visto solo la punta dell'iceberg. Siamo molto più che un ammasso di cellule e desideri messi in fila.
Scrivo di te, di noi. Scrivo perché rimani, anche se sei via.

domenica 9 settembre 2012

Il mio sonnambulismo (quando mi alzi dal divano e mi porti a dormire).

Sei salito su quel treno da poco ed è un po', ora, come avere poco tempo e allo stesso momento averne troppo. Il fatto è che sono io, di solito, a pronunciare il "devo andare". Sta sera, ti svelerò una cosa: in realtà, quando dico ciò, tutto quello che desidero è restare.
E lo so che sono lunatica e complicata. E so pure di avere parole difficili, di quelle ostinate a non voler vedere la luce al di fuori della gola. E so di essere un mosaico disordinato, un groviglio di emozioni mal riposte e capelli rossi che non sa stare seduta composta, né fare cinque passi senza inciampare...
Ma, vedi, con te è stato un po' come raccogliere tutti i pezzi e riattacarli insieme per creare qualcosa di nuovo e più veritiero, vivo. È stato un po' come viaggiare stando fermi. Come quando mi sollevi da terra senza troppe storie ed io ti ordino di rimettermi giù che la mia testa vaga già nell'aria per conto suo. Come quando mi fai il solletico finché non mi lasci un momento di respiro dalle risate e comincio a fartelo io. Quando mi alzi dal divano e mi metti a dormire ed io pagherei oro per sapere cosa ti racconta il mio sonnambulismo. Come una giacca nei sabati sera di fine estate quando il vento mi s'infila su per la schiena e mi fa tremare. Come un cinema deserto ed i popcorn caldi, lo spumante raffreddato in congelatore perché non c'è tempo da perdere, te che cucini e mi proibisci di aprire bocca in proposito.
Potrei continuare all'infinito, sai? Racconterò di noi ai libri, alle stanze vuote ora che se via, alle persone che incontro e a quelle al supermercato. Parlerò di come la vita si diverta con i nostri destini, di come giocavamo da piccoli: tu la peste ed io il maschiaccio, e di come forse eravamo destinati a diventare ciò che siamo.
Racconterò di noi agli anziani che ti fermano per strada per chiaccherare un po' e sorriderò. Sorriderò inconsapevolmente prima di parlare del nosto scontro casuale quel lunedì tredici dove entrambi eravamo a pezzi.
E non importa quanto possa risultare banale, bello, triste, arrabbiato, malinconico, romantico il mio racconto. Ciò che conta siamo tu, io. E, sappi amore mio, che adesso io e te siamo diventati noi.

sabato 8 settembre 2012

Quando il cuore si mangia l'anima. (Dove sei?)

Forse, quello che sto cercando di dire è che la paura uccide. La paura uccide l'amore. Sono le piccole cose, nevvero? Sono le piccole cose che contano. Come quando cadi in bicicletta e nessuno se ne accorge, da un lato è un sollievo per la figuraccia scampata, ma dall'altro ci si sente invisibili, insignificanti. E allora verrebbe quasi voglia di prendere quella bici e scaraventarla nuovamente a terra, saltarci sopra e ridurla ad un ammasso di ferro.
Ma non lo si fa. Ci si rialza, si toglie la polvere dai vestiti e si asciugano le lacrime. Ci si rialza sempre. Eppure, eppure quella sensazione di abbandono resta. La paura s'inchioda alle gambe timorose di riprendere a pedalare con vigore. Io non temo il dolore, io temo il vuoto: non la caduta ma l'indifferenza. Dove sei quando tutto attorno è vuoto ed ho più bisogno di te?
Se sono le piccole cose che contano, allora dimmi, dove sei quando il cuore si mangia l'anima e ne fa scendere l'essenza dai miei occhi stanchi? Quando divoro scatole di biscotti, illudendomi di poter così possedere la polvere di stelle? Quando vorrei più sogni e meno desideri sfuggevoli e con la sera cala anche il freddo, salgono gli incubi e la cena pure.
Non sono pronta ad accontentarmi del nulla. E tu? E vorrei più sogni per alzarmi e più forza per correre, e vorrei vivere senza chiedermi perché, senza chiedermi di noi.
E se ci arrendiamo? Se il mondo cade e la luna non rimane più un sogno? E se si arresta anche il vento e non ci bagna più la pioggia, cosa diventiamo noi, amore? Polvere. Come polvere stanno diventando i miei ricordi di noi, di te. Forse perché certe cose, certe persone non si devono ricordare, ma solo amare. Tu ti ricordi? Ti ricordi quando mi stringevi forte mentre tremavo e tutto ci bruciava attorno? Io c'ero. E, tu, ora?

sabato 9 giugno 2012

Non c'è cuore che non venga preso per fame e, per forza, quando è ora, sbraniamo. (Scrivere)

La gente crede che uno scriva perché non sa tirare di boxe e non ha fegato, sono d'accordo per la prima parte. Io, avrei voluto più volte avere un corpo più adatto a tirare pugni e meno all'amore...
Le persone credono che uno scriva perché ogni scrittore è un potenziale assassino o serial killer, che non è capace di fare del male ad una mosca. O magari, perché non osa rapinare un supermercato di speranze a prezzi esorbitanti.
Il bello è che scrivere non serve a nulla di tutto ciò. Scrivere è un limite tendente a zero, un difetto in più. Il bello, è che dopo averlo fatto, stai male, come dopo aver pianto a dirotto soffocando le urla nel cuscino o quel sentimento di vuoto dopo gli esami di maturità: stai malissimo, perché nulla è cambiato. Perché tutto rimane immutato, tranne il tuo trucco sul cuscino, tranne gli occhi. Il brutto è che scrivere non guarisce dagli impulsi assassini e rapinare un supermercato rimane pur sempre un obiettivo impossibile.
Peccato che uno non scriva per nulla di tutto questo. Uno scrive perché si rende conto che, indipendentemente da quanto amore possa contenere, sarà sempre troppo piccolo per lui.
Uno scrive perché è un garbuglio di capelli rossi, idee senza capo né fine: è un disastro e inciampa ogni due passi nei suoi pensieri. Perché ama, ma ha parole difficili e convive da sempre con i suoi mostri sotto il cuscino... perché, ogni tanto, uno di quelli cresce troppo e fa paura.
E, allora, io scriverò che l'amore p un po' come avere poco tempo e allo stesso tempo averne troppo. Perché è un chiodo fisso: un pensiero che non si stacca mai da un altro, che non c'entra nulla con quello che stai facendo. Come strovarsi a pezzi, raccoglierli e riattacarli, anche quelli più piccoli, anche la polvere, poiché è da questa che nascono le stelle, e creare un'opera d'arte.
E guarda, guardaci: ci siamo trovati, ritrovati davanti ad uno specchio e abbiamo visto riflessi entrambi i nostri oceani in tempesta. Il mio nel tuo, il tuo nel mio. "Ho paura". Ho pensato, forse anche scritto. "Ho paura". E tu, avresti dovuto rassicurarmi. Avresti dovuto dirmi che sarebbe andato tutto bene, ma la verità è che avevi ancora più paura di me, nevvero amore?
Ho capito che il problema non mai stato l'amore: non tra noi. Ne abbiamo da riempire un mare. Lui c'è, lui non passa e resterà a farci compagnia nelle giornate di nebbia. Lui è svelto, colépisce a tradimento e si inchioda nel tuo sangue.
Il problema, non era l'amore, poiché eravamo ben consapevoli che non c'è cuore che non venga preso per fame e, per forza, quando è ora, sbraniamo.
Il problema, è che eravamo pure consapevoli del fatto che ci saremmo potuti uccidere a vicenda, ma non avremmo avuto il coreggio di chiedere aiuto.
Dopo è stato un po' come chiudere gli occhi e lasciarsi cadere, senza sapere se la terra sarà sempre presente quando ne avremo bisogno.
Per la prima volta, non ho sentito l'impulso di scappare. Io, sai, scappo sempre. Non ho trovato le parole, sono rimasta in silenzio e non avrei dovuto. È stato tempo fa.
E ancora ti amo. E allora, te lo scrivo. Ecco: uno si mette a scrivere perché rimane troppo piccolo per tutto l'amore che ha.
Ma, non temete, non temere, ho una collezione di barattoli senza fondo immensa.

domenica 3 giugno 2012

E la vita non galleggia più nella boccia del pesce rosso. (Mangiate prima il dessert)

Non trovate sia estremamente riduttivo pensare che il tempo sia bello solo quando splende il sole? Io sì. Così come trovo inutili le parole della gente in generale che, a furia di cambiare idea e colore alle pareti della sua anima, si è intossicata il cuore. Credo che ci sia di peggio, in fondo, di camminare rasente i muri. Per esempio, ci sono i muri. Sapete che c'è? C'è che troppe volte ci sentiamo sbagliati, insicuri, imperfetti e allora i muri appaiono come delle certezze. Difficilmente tendiamo a prendere in mano la nostra vita, o quel che ne resta sotto le macerie dei ricordi, e farne nuovi orizzonti. Sapete qual'é il problema? Lo stesso che mi spinge ad odiare il fatto di falciare l'erba, perché tutti hanno un prato con l'erbetta tagliata perfettamente... e quando ci si ritrova a fare le cose che fanno tutti gli altri, si diventa tutti gli altri.
Io, ho ripreso a respirare aria leggera. Ho abbandonato la mia consapevolezza circa il fatto che la felicità non è qualcosa che ci è dovuto. Non si può averne a piacere così come non si può dire al sole: "più sole", o alla pioggia: "meno pioggia", vero. Ma è pure vero che, dal momento in cui ho cessato di pensare che solo gli altri possedessero il coraggio per amare, fin tanto che non ho alzato la testa e osservato quel cielo stupendo senza che dai miei occhi trasparisse l'oceano, smettendo pure di chiedere alla primavera se ci sarà per sempre, ho ripreso a respirare aria leggera.
Aria che ha liberato i miei polmoni da tutto il veleno accumulato di anno in anno, che ha reso i miei occhi più chiari e limpidi. Sarà che questo è uno di quei pomeriggi dove mi fermo e mi chiedo se tutto quello che mi gira intorno: appunti sparsi sulla scrivania, orari degli esami, panni stesi ad asciugare sotto la pioggia di giugno, il telefono sul comodino e i biscotti nella credenza, te che dormi e i miei pensieri di yogurt e lettere d'amore nel frigo, siano reali o meno.
Sarà che avevo sempre saputo che il vero amore è al di sopra di tutto e sarebbe stato meglio morire piuttosto che cessare di amare. Sarà che basta poco, talvolta anche solamente due parole, un abbraccio, e la vita non sta più a galleggiare nella boccia del pesce rosso.
Sarà che questa vita è breve. Troppo corta per concederci il lusso, la libertà di non amare.
Troppo corta, nevvero? E allora, che aspettate? Ridete finché respirate, amate finché vivere e... mangiate prima il dessert.

mercoledì 14 marzo 2012

Fossimo stati creati per la solitudine... (ci avrei dimostrato per assurdo)

Scrivo solo quando lo sento, come il vento che fa tremare le foglie. Scrivo quando tremo: non c'è ora né momento. C'è solo questa corrente che soffia dentro. È un'insostenibile ed adrenalinica vertigine che si avverte sull'orlo di un precipizio. Come stargli accanto, come scivolare senza soluzione di continuità né limite, o, forse, un limite esiste: limite tendente ad infinito.
Vorrei saperne risolvere uno, ogni tanto. Vorrei non avere paura di guardarmi allo specchio ed affogare nei miei occhi. Vorrei dire a me stessa: da oggi avrò cura di te, non ti lascerò più scivolare, cuore.
Ma i miei pensieri si perdono e trovano sempre una strada alternativa al traffico quotidiano: scivolano, sfuggono e sfrecciano. Impossibile calcolarne la velocità o traiettoria, impossibile prevedere dove si schianteranno.
Poiché la ragione è ben poca cosa, e il cuore ha un modo tutto suo di fermarsi.
Non esistono teoremi, né formule, né sistemi. Esiste la certezza, però, che se fossimo stati creati per la solitudine, saremmo stati dotati della capacità di abbracciarci da soli...
Ora però mi chiedo: perché ho scritto tutto questo?
Forse per dire solamente che ci avrei dimostrato per assurdo, fossimo stati un'enigma comprensibile.

lunedì 12 marzo 2012

Possiamo sussurrare. (Sussurrare, fa venire i brividi sulla schiena)

Se c'è una cosa che ho capito è che, per non sentire la solitudine, non occorre stordirsi di frastuono. Stordirsi non basta. Credo invece che ci sia bisogno di sapere che, nel silenzio, c'è sempre qualcuno che possa ascoltare. Credo che un conto siano le parole semplici e un altro le semplici parole.
Quelle più immediate, quelle più vere. Le mie sono quelle che riesco ad esprimere con poche persone, quelle che scrivo quando metto nero su bianco ciò che la mia anima urla silenziosamente.
Trovo che l'errore che facciamo troppo spesso è quello di gettare valanghe di cemento asettico sopra quello che c'è dentro noi. Lo occultiamo. Lo soffochiamo perché ci fa una paura incredibile.
Poi cerchiamo di urlarlo, di liberarcene emettendo più rumore di quanto non faccia quel veleno di ricordi che ci corrode dall'interno.
Sbagliamo. Sbagliamo continuamente, ricordate: siamo fatti per sbagliare, e poi tornare indietro, e desiderare sempre quello che sta dietro al vetro. Mai provato ad allungare la mano e prenderlo? Forse vi siete feriti. Significa che non era per voi.
Forse avete paura di farlo, a presente. Chi non ha paura di farsi male? Chi non ha paura del futuro?
Tranquilli, di male ve ne farete. Ve ne farete ancora tanto. Ma per questo volete mettere in un rispostiglio il cuore? Crediate che ne valga la pena? Io voglio vivere. Anche a costo di soffrire, anche a costo di morire. Io voglio vivere ogni istante e mi accontento di un futuro sempre attuale.
Volete forse farvi rubare il presente perché siete terrorrizzati da eventuali, e alquanto improbabili, cicatrici di carezze? Io mi preoccuperei, invece, di accorgermi di stare sanguinando d'incertezze.
Poi, è inutile urlare: i ricordi sono duri d'orecchi. Inutile. Sussurrare, fa più rumore. Sussurrare fa venire i brividi sulla schiena.
E allora che fare, a presente?
Possiamo discutere su tutto, sui massimi sistemi, interpretare una canzone, ridere, risolvere un'equazione, confessarci i nostri segreti e paure, odiarci, ubriacarci, ferirci, aiutarci.
Possiamo allontanarci. Possiamo ritrovarci, perché, in un qualche modo, ci ritroviamo sempre. Possiamo volerci bene, anzi, ce ne vogliamo sicuramente. Possiamo andare oltre la superficie, respirarci. Pensiamo a ciò che possiamo. Non a ciò che potremmo.
Potresti non credere a ciò che ti dico, vero.
E, allora, credi al modo in cui ti guardo.

giovedì 8 marzo 2012

Brillare, come le mine e le stelle polari. (Stringimi)

Adesso, per piacere, siediti e ascoltami. Cara, felicità, oggi ti scrivo.
E so che bisognerebbe imparare a scrivere per rispetto nei confronti di chi ha bisogno di leggere; é così che dovrebbe essere: scrivere per necessità. Certo, scrivere anche per catarsi, o qualsiasi altro aggettivo vi piaccia e vogliate metterci dentro. Ma, si deve scrivere soprattutto, per necessità, poiché si arriva ad un punto dove è indispensabile dire quello che ci matura e cresce dentro, sotto le nostre pioggie interiori. Trovo che si arrivi ad un punto di fusione dove i pensieri e le emozioni cambiano stato d'aggregazione.
Ti scatta qualcosa dentro, sai? Come quando le persone s'innamorano: cambiano, perdono foglie di delusione e difese e riangono nude ed affamate...
A me, manca un kilo di sorrisi e due etti di comprensione e, perché no, un cartone d'amore a lunga conservazione.
Ciao. Stringimi forte e guardami da vicino. Non da lontano, né troppo piano. Stringimi così forte da non sentire più nulla, più forte che puoi. Tanto da togliermi il respiro, dimenticare il mondo e di avere un cervello e di programmare l'umore artificialmente.
Stringimi e non temere: le emozioni non temono nessun controllo. Loro, quando si esagera, scoppiano. Scoppiano come le guerre. E allora noi "ci metteremo a tremare, ad inchiodare le stelle, a dichiarare guerre". Non si può fare altro se non brillare come le mine e le stelle polari.
Ciao. Scrivo quello che il mio cuore lascia passare: vado in profondità, poiché non si può vivere in supercificie. Non si può vivere realmente, perlomeno. La felicità scava, inevitabilmente: scava e apre ferite...
La cosa positiva, è che sa pure come disinfettarle.
E allora, che aspetti, sono qui. Stringimi e scavami pure nel profondo.

giovedì 1 marzo 2012

Scriverò come se nessuno leggesse. (Quello che sento)

Cosa sento? Sento gente che, continuamente, pur di non guardarsi negli occhi, parla del tempo. Parla del tempo e finisce per considerarlo bello solo quando splende il sole. Quel sole che acceca: dagli occhi al cuore.
Io, sento la pioggia.
"Ma la pioggia deprime!" mi hanno detto. Avete mai provato a vederla per quello che non è? Ho risposto, e molti non hanno capito. Allora, lo scriverò. Scriverò come se nessuno leggesse perché è solo così che questo uragano che mi centrifuga e sconvolge l'anima, mischiandone i pezzi, può scaricarsi.
Sento scìe d'inchiostro che spezzano l'asettico pallore d'un foglio; il nero che s'impregna di parole e cola, sotto questa pioggia.
Come il futuro. Ho sempre pensato al futuro come ad un gelato che si vende già squagliato. Credo che la maggior parte delle persone aspetti qualcosa che le cambi la vita, senza accorgersi, nel frattempo, che la vita stessa le cambia. Il futuro è quel gelato che se s'indugia a mangiare ci cola addosso con le sue appiccicose occasioni mancate.
Volete ritrovarvi tristemente cambiati per paura di cambiare? Che aspettate, allora?
Uscite a correre. Lasciate che questa pioggia vi inzuppi i capelli, i vestiti, il cuore, sciogliendo l'ultima neve che vi si era depositata.
Perché indugiare nell'inverno se è già primavera?
Certo, dimenticavo la questione del passato. Inutile ricordarsi di dimenticare, illudersi che questa pioggia si porti via anche quello. Bisogna incastonarsi d'istanti nuovi e brillanti da ricordare, bisogna fare sbocciare i sorrisi sulle cicatrici. Ciò che insegna il passato non serve a non commettere errori: sbagliare è la cosa più umana che ci sia.
Il passato serve solamente ad avere paura di tentare; una paura densa come petrolio che, talvolta, si riversa nel nostro mare interiore soffocando quelle onde impetuose di sentimenti che ci tengono o riportano in vita.
Volete smettere di vivere per una paura in potenziale?
Quello che ci lega al passato, non è tanto la nostalgia del trascorso, quento l'inconscia, impossibile ed assurda idea che, potendo rivivere anche uno solo di quei giorni, il presente sarebbe diverso.
Ma volete veramente che sia così? Pensateci.
Io no.
Io voglio questa pioggia violenta come legittima difesa dalla ferocia della monotonia.
Chi ha voglia d'inzupparsi con me?
...Al giorno d'oggi, pur di non guardarsi negli occhi, parliamo del tempo: forse perché, negli occhi degli altri, spesso, c'è troppo di noi.

sabato 25 febbraio 2012

Scoppiare ad amare nel giro di sei lettere. (scrivere d'amore, all'amore)

Si cambia. In questa vita, si cambia continuamente e raramente la gente se ne accorge. Basta un niente: basta che una notte ritorni quel sogno ricorrente di calarsi dalla finestra attaccati a una corda di coperte... per scappare, direi.
Da cosa? Forse da una creazione degli altri di noi stessi. Per scappare da chi sa ancora fare esplodere i sogni, da chi non sorride più, perché i sorrisi stessi sembrano non volere bastare. Sembrano essere insignificanti, non rilevanti; eppure, i sorrisi, mancano più dell'aria.
Da chi non riesce quasi più a ridere e usa in modo sbagliato il verbo vivere: c'è un universo intero dentro questa parola tanto che mi scoppia qualcosa dentro solo nel pronunciarla... scoppio ad amare nel giro di sei lettere. Eppure, l'uomo, come ogni cosa, è riuscito a banalizzarla.
Ma noi scrittori, ultimi dei romantici, cinici disillusi, ci siamo sempre opposti. Ci siamo sempre opposti forse perché abbiamo capito che gli opposti si attraggono, ma questa è un'altra faccenda.
Noi finiamo così col voler soffocare le lacrime soffocando il cervello e non il cuore. Lui, è pur sempre un muscolo involontario. Ci illudiamo, ci si illude che tutto passi e possa passare come le ore che si rincorrono nell'orologio senza raggiungersi mai, come l'inverno, la gente per strada e i sorrisi.
Ma non funziona così: la fame d'amore non si sazia mai. Allora ditemi, dimmi, perché cercare di privarsene? Perché stare così, noi, che siamo già pelle e ossa?
E ancora mi trovo a scrivere... e ancora sono solamente parole e non hanno odore, e non hanno sapore. Scrivo, io. Io che ho sempre amato nel silenzio sapendo che solo nel silenzio il cuore è libero di gridare. Scrivo così mi illudo, ci illudo che scrivere sia pur sempre un modo di fare l'amore.

lunedì 20 febbraio 2012

L('amore.)a droga più potente al mondo.

Noi scrittori siamo follemente innamorati.
Siamo innamorati non tanto delle parole di per sé, né tanto meno da ciò che vogliono significare, in un mosaico i cui pezzi  a volte sono perfetti, altre volte diseguali, altre ancora mancanti. Noi amiamo molto di più la penna che il foglio.
Amiamo. Amiamo sempre senza mezze misure né sconti perché ci siamo resi conto, forse troppo presto, che in questa vita ogni cosa ha un suo prezzo: amore compreso. Può valere una vita? Questo non lo so, so solo che per amare non c'è sempre bisogno di cuore. Per lui, un cuore non può bastare. Forse una vita intera non è sufficiente: non deve esserlo, poiché, qualora lo fosse, ci ritrovemmo a coltivare lettere sparse anziché poesie.
Ogni cosa ha un prezzo: ci troviamo in un mondo di soldati con divise da essere umano, cuori vuoti e tasche piene; piene di ricordi, perché per amare serve più coraggio che ricordare.
Allora, ditemi ora, da che parte state? Amare o ricordare? È questo il dilemma che avvelena l'esistenza di noi scrittori.
O ancora, ricordare d'essere stati amati? Troppe domande: ci sono più parole che tempo, più emozioni che parole, più foglie che vento, più silenzi che verità. E allora sale questo sentimento malinconico che brucia la gola. Sale, succede anche con la rabbia, sapete?
Salire trovo sia un verbo che si addice perfettamente a tale stato d'animo: sento crescere la rabbia come un climax dentro me. Parte dallo stomaco, credo, poi prende il cuore ed entra in circolo più velocemente.
Come l'amore, diventa veleno e ti prende il cervello, il pensiero, gli occhi, portandoti a vedere solo le sue allucinate false realtà...
Provate voi a trovarvici voi in un lago d'amore ed uscirne indenni...
L'amore è la droga più potente al mondo. Ma voi amate sempre, in ogni caso. Amate e tenete il vostro cuore fuori dalla portata di chi ancora riesce a fare esplodere i sogni.
Amate come noi scrittori amiamo il mezzo, non il fine. Perché noi amiamo scrivere, non ciò che abbiamo scritto. Amate da morire. Amate d'amare.

giovedì 16 febbraio 2012

Ho sempre amato.

Lo vedere questo inverno? Sembra non volersene andare più. "Passerà,lo sai."  Passerà tutto: le stagioni, il tempo, la luna sorgerà ancora in miliardo e più di volte, le nuvole ritorneranno a piangere sui miei panni appena stesi e ritorneremo a brindare. Che aspettate? Brindate. Brindate che mi si è ormai raffreddata la cena e non riesco a smettere di ridere nervosamente come faccio ai funerali. Sì, forse non sapete che io, ai funerali rido.  Forse non avete mai capito niente di me.  Ciao, oggi è giovedì, ho i capelli messi male, mi sono già puntata il mascara in un occhio stamani, facendoli così arrossare entrambi. Nessun problema nessuno lo noterà dal momento che lo sono già per motivi esterni... Oggi è giovedì e magari scrivo un po' di me. Sono quella che quando aveva sette anni finiva sempre col cadere da cavallo enometro piangeva mai. Sono Alice, quella che ora ha pianto mie volte per i suoi errori, quella che dietro ad ogni gesto nasconde mille parole.  Volevo imparare a ballare, ma poi ho preferito la scrittura. Amo cantare sotto la doccia, mentre faccio odine nella mia caotica vita, e amo cucinare (questo lo faccio di gran lunga in modo migliore). Qualcuno un giorno mi disse di amar come cucino e cucinare come amo: l'ho sempre fatto. Anche quando tremendamente complicato, difficoltoso o mi mancavano gli ingredienti, e non intendo per cucinare.  Non ho mai rinunciato a vivere, anche a costo di morire. Intendo dire che non ho la benché minima intenzione di inciampare in una vita comoda, mediocre. Non ho mai accettato di tacere e stare a guardare il mondo giocare a scacchi con i sentimenti e l bugie.  Sono musica sperimentale, fogli accartocciati e bic consumate, Baudelaire, Dickinson e Oscar Wilde; sono camicie a quadri, zucchero, tatuaggi, caffè e sigarette. Sono un groviglio di emozioni mal nascoste e capelli neri.  Sono, sono e alla don non sono niente. Un niente diverso dagli altri; un niente che si nasconde e si aggrappa alle spalle delle persone che gli sono rimaste accanto senza un motivo particolare. Quelle persone che sono rimaste accanto a questo danno che cammina inciampando ogni tre passi. Sono un niente un po' bello e un po' brutto, che ancora oggi splende, sole o meno.  Splende se lo guard(i)ate e che se gli fa(i)te un mezzo sorriso ricambia sempre.  Se dovessi fare una lista delle parole che mi rappresentano, riscriverei un'intera edizione di un pesante e noioso dizionario... Ma l'ordine non è il mio forte... "Illusa", forse "delusa", "egoista",gelosa" dei miei ricordi e rancori; sono anche questo. Eppure, non odio mai.  Non odio mai perché se lo facessi, dovrei poi ammettere d'aver amato.  Ho sempre amato. Ho amato tanto quanto amore non ho mai ricevuto quando avevo bisogno solo di un po' d'affetto.

martedì 14 febbraio 2012

Trattenere le lacrime per dieci minuti (quello che penso).

Potrei mentire, dire che ho sempre preso in cosiderazione le realtà oggettive, che ciò che ti scoppia all'improvviso dentro bisognerebbe sempre arginarlo, che è facile fare una smorfia e fingere di fregarsene. Potrei. Oppure potrei cercare di ritrovare quelle parole che ho perso come si perdono le cose belle. Così scrivo. Scrivo perché in questi momenti non so fare altro. E tu, voi, legatevi al dito ogni singola parola che uscirà dalla mia penna perché sarà detta col cuore. Forse non ho dosato bene la quantità, gli ingredienti: ci ho messo troppo cuore o troppo poco? Non lo so più.
Delle cose che perdiamo non dovrebbe importarci...
Volete la verità? Vuoi, volete sapere cosa mi implode dentro mentre l'oceano mi traspare dagli occhi riversando le proprie onde salate sugli appunti di matematica? Va bene. D'altronde perché dovrei continuare a fingere? Troppa gente lo fa già come disciplina accademica: troppa gente non dice realmente ciò che pensa. Non bisognerebbe mai temere di dire la verità. Avete paura? Sì? Per la verità, pure io.
Ho paura di questo groviglio di emozioni, del futuro come del presente. Ho paura di questo mare perché non sapevo né saprei come definirlo, anche se qualcuno ha provato a farlo. Penso vivamente che si sbagliasse, con tutta quella oggettività.
Io non ho mai preso in cosiderazione le realtà oggettive. Il mondo è pieno di persone alla loro ricerca; persone che parlano fin tanto che non trovano qualcosa da dire. Sono quelli che svuotano cassonetti di sogni mai usati, che rinunciano a vivere. Tu lo faresti per paura?
Io non ho mai rinunciato, anche a costo di cadere, anche a costo di farmi male. Non riuncerei mai a vivere anche a costo di morire. Non rinunciate. Non rinunciatevi mai.
Tanto la gente usa ed userà sempre le parole come pugni, sbagliando mira in pieno. Ecco perché le realtà oggettive non sono soggette al mio interesse.
Tutta la verità? La vorrei pure io. L'unica differenza è che, perlomeno io, la mia verità ho il coraggio di dirla.
Non va "tutto bene". Ho dovuto leggere più volte quel post-it giallo attaccato ai miei pensieri per ricordarmi di me, oggi, e del mio sorriso: se l'avessi dimenticato a casa il mondo avrebbe potuto insospettirsi e farmi troppe domande. Ho dovuto poi leggere più volte quelle altre parole scritte per cercare di svuotarle di significato. E io che credevo di potere dimenticare così come dimentico il quaderno di matematica a casa... Ricordi, rimorsi, cambia solo qualche sillaba, no?
Come p(uoi)tete immedesimar(ti)vi in me? Non lo so nemmeno io ciò che pensavo. A vivere, credo. Chi può dire che guardavo oltre? Se qualcuno trova il modo di immedesimarsi in me, me lo faccia sapere: potrebbe tornarmi utile.
Cosa penso?
Penso che quando piove qualcuno voglia coprirci le lacrime, penso che non bisognerebbe mai pensare troppo ma pensare semplicemente a vivere, non pensare di vivere. Penso che l'imperfetto rovini qualsiasi bel verbo, soprattutto gli ausiliari. Penso che al Signor Amore manchi una bella dose di coraggio, altrimenti verrebbe fuori e combatterebbe. Penso che all'inferno farebbe più caldo e ci sarebbe più silenzio.
Penso che queste parole non siano poesia, ma pura verità.
Tutta la verità? Non ancora.
Credo che il problema non stia in ciò che perdiamo ma nella sua assenza, poiché quella rimane a urlare, strepitare e sbattere i piedi a terra anche in piena notte.
La verità è che so trattenere le lacrime per soli dieci minuti: non sono insensibile.
La verità è che i sentimenti fanno paura anche a me, ma quelli inespressi e le bugie mi terrorizzano ancora di più.
La verità è che mi sono persa tra le lettere finendo per non capirci più niente, poiché innanzi a me non vedo parola alcuna ma solo rumorosi silenzi a lungo andare.
È ciò che volete? È ciò che vuoi?

Io vorrei la verità. L'impossibile, forse. L'impossibile, che ho sempre creduto un po' più difficile del possibile.

venerdì 10 febbraio 2012

Scriverò di questa storia. (Giuro che lo farò)

Mi ritrovo seduta sul mio letto, penna in mano e foglio vuoto. Avrei così tanto da dire, scrivere, eppure...
eppure sono qui. E dondolo le gambe come se fossi su un'altalena immaginaria di pensieri. Vorrei scrivere qualcosa di bello, opure brutto per chi non sa capirlo, veritiero e mille altre cose ancora.
Scriverò usando verbi di quelli che vanno usati solamente al presente, poiché in altri tempi sarebbero talmente irregolari da fare male: passati remoti pressocché impossibli da coniugare. Vedrò poi di accostare parole che non possano mai suonare in armonia perfetta ma che, insieme, stridono in un modo talmente melodioso che sembrano annullarsi. Credo siano delle ottime combinazioni.
Scriverò di quel sentimento che non vedete, che tanto viene decantato nei romanzi e nei libri di poesie poggiati sui vostri comodini ma che, per quanto questi poeti possano insistere, in strada non se ne trova traccia.
Scriverò un elogio a chi inventò i post-it e a chi se ne riempe la vita e il cuore. Passerò poi lentamente a scrivere di come sia possibile catturare la pioggia e svenderla dove non cade.
Scriverò una storia non d'amore ma di vento, freddo e sole, sintonia e incomprensione, silenzi e rumore di parole in rima a ritmi totalmente divergenti, di boccate d'aria e fumo.
Ma sono qui, e sto ancora dondolando le gambe come se fossi su un'altalena, tutto mi sembra irrisorio: tutto ciò che si distanzi dalla neve che si scioglie nel mio petto.
Sono qui con un foglio ancora bianco in mano, ho fragole e fiori d'inchiostro sul cuore e nessuno ha compreso ciò che ho voluto dire, nevvero?
Non credo. Qualcuno, sicuramente sì.
Prometto che scriverò ancora di questa storia che non è d'amore, ma solo una storia. Con dentro l'amore. O, forse, è amore.
Con dentro una storia.

mercoledì 8 febbraio 2012

Tanto lo sai, la vita macchia la pelle.

Avete mai incontrato una persona importante prima che diventasse tale? Prima che importasse?
Tutto quello che mi sento di dire è apparentemente elementare, sai? A parole siamo tutti eroi, mi dirai. Ma io non farò altro che risponderti con un: "fermati un momento. Che cosa è successo, adesso?" Saluta te stessa e tutte le bellezze che racchiudi dentro, prima degli altri: ogni anima è un'isola protetta dai suoi abissi insondabili, perduta nell'immensità dell'oceano. Ci vuole coraggio, sai? È un affare da temerari andare oltre la superficie.
Poi ti direi: "pensa a te stessa". Ama te prima di amare gli altri. Vedi, io questo l'ho fatto.
L'ho fatto quando ancora non m'importava. E se è andata come è andata, è solo perché non ho mai pianto per stare peggio, ma solo meglio. Perché ancora non era "tempo per noi". Perché dovevo ancora tentare tutte le strade; volevo essere forte, annegare nei sabati sera sul divano con un gelato e un telefilm. Volevo cucinare come non facevo da mesi, imparare a disegnare, incontrare nuove persone anche se alcune nemmeno così interessanti, altre da portare dentro.
Se è andata come è andata, è perché ci sono momenti, occasioni, scontri di anime dove si finisce per capire quanto sia insensato lasciare correre a vuoto un cuore senza che sappia dove andare a sbattere.
So che non hai mai tirato il freno, in questo ho preso da te. Non hai mai tirato il freno neppure quando faceva male, nemmeno quando avresti voluto tirare giù il mondo ma lui restava impassibile sulle tue spalle. E pesava. Pesa tutt'ora? Cosa aspetti a lasciarlo cadere?
Uno scontro di anime deve essere incidentale, non fatale. Inutile cercare di imbrogliare il destino, il cuore, acquistando in saldo i sentimenti come si fa coi detersivi... tanto, lo sai, la vita macchia la pelle.
Se è andata come è andata è perché ci sono "spine che fanno solo male", ricordi? Ma lo dicesti tu quando ancora piangevo versando sale sulle ferite. Sai, la nostra paura più grande è quella di non ottenere quello che desideriamo. Ma, questa, è una cosa che lascia scampo. Una cosa alla quale se non ci si arrende, ci tiene in vita. Passerà. Tutto passa. Ma che ne so io...
Io, che ho incontrato una persona importante prima che importasse.

venerdì 3 febbraio 2012

I risultati non contempl(ama)ti.

Mi piace leggere. Non i libri ma le emozioni, le lettere computerizzate mai spedite ma salvate tra i buoni propositi e le promesse a breve scadenza, i letti disfatti con i libri lasciati a metà.
Dentro il nostro cuore, come nelle parentesi tonde, si può scrivere di tutto. Non abbiatene paura: con le parole non si può raccontare bugie che ne addolciscano il contenuto. Non si può raccontarsi bugie, e non è il tempo a poter guarire le ferite: sono le parole stesse. Magari vecchie, magari nuove.
Scrivere non è come danzare o mangiare una torta. Bisogna ferire a morte. Pensateci: a chi possono piacere le canzoni senza parole? Come un amore senza cuore. Come uno scrittore senz'anima. Così, anche se la meteo prevede piogge acide per emozioni poco solubili, non potrai mai cancellare i tuoi sentimenti, asciugare le lacrime che hai già versato, azzerare i battiti di un cuore. Risulta impossibile d'altronde annullare una parentesi, a meno che la somma di tutte le cifre non dia zero.
Ma dal momento che le emozioni si moltiplicano, i risultati nulli non sono contemplati.
Anche se non troviamo le parole per esprimerle, le nostre emozioni, restano pur sempre i battiti cardiaci. Ho detto nostre? Gli aggettivi possessivi sono quelle parole che mi, ci fanno più paura. Paura perché sappiamo perfettamente che non riusciremo mai a capirci fino in fondo, per quanto le nostre pelli, anime e ossa possano mischiarsi. Due universi diversi non potranno mai corrispondere in modo perfetto.
Mai... gli avverbi fanno ancor più paura dei pronomi perché sono invariabili. Però, se ti va di aspettare, metterò anche nero su bianco le mie paure.
Non ho più paura del buio in sè. Ho paura del buio in me.
Dimmi che non devo temere nemmeno di quello perché, sì, lui annulla tutto, ma può esistere solo quando non esiste nient'altro. E ora ci sei tu.
Ci sei tu e le mie parole pericolose.
Scrivere significa correre in un campo minato sperando di non esplodere.

Ma chi voglio prendere in giro? Chi è disposto ad innamorarsi di una scrittrice? Chi s'innamora di una scrittrice è pazzo, oppure è colui che ha posizionato le mine.

giovedì 2 febbraio 2012

È meglio lasciare che qualcuno c(t)i ami.

Ci sono mattine, giornate da ricominciare dal principio. Inutile starsene lì ad aspettare un giorno di pioggia, o che ciò che abbiamo perso riappaia inaspettatamente, chiudendo il nostro cuore a tutto il resto e gettando la chiave.
Siamo tutti come aquiloni in attesa del vento, vero?
Sono quelle giornate di tavolette di cioccolata come paliativo; pomeriggi in cui non parliamo, ma che se cominciassiamo parlemmo troppo. Giornate di scommesse senza premi, scommesse di chi si ostina a credere nel valore delle sconfitte e se ne sta fermo tra le linee nemiche senza che nessuno l'abbia visto cadere.
E lo so che fa male. Fa male da morire. Ma quanto tempo ancora può andare avanti? Ora mi dirai che: "Quello che non uccide rafforza"...
Vero, ma ricorda che, alla lunga, quello che rafforza finisce con l'uccidere. So esattamente cosa si prova quando non ci piace stare al buio ma non vogliamo accendere nessuna luce. E lo so che desideriamo solo quello che non possediamo più o che non possiamo avere. Vedi, pure che è meglio lasciare che qualcuno ci ami, altrimenti ci si trova da soli. Eppure, è meglio starsene lì da soli ad amare i solitari, quelli che ancora non hai incontrato, quelli autentici a tutti i costi che sanno quanto brucia la verità, ma anche che una ferita bisogna pulirla affinché possa rimarginarsi. Quelli che ci possano amare quanto ci meritiamo. E ci meritiamo tutto l'amore del mondo. Meglio, piuttosto che starsene al buio, aspettando che quella persona si decida ad accendere la luce.
Bisognerebbe lasciarsi sorprendere.
Pensaci, che cosa stiamo cercando tutti?
Qualcuno che non possiamo ignorare.
Ma chi sono io per dirti ciò? Io sono qualla che ha sempre una gran voglia di piangere finchè qualcuno o qualcosa non la fa scoppiare a ridere, e viceversa. Io amo i sognatori, i diversi, quelli che hanno paura delle paure, ma ancor più adorano la vita... quelli meteoropatici che ancora non comprendono perché, se il cielo piange, lo debbano fare anche loro. Amo quelli che sanno chiedere scusa, che hanno il coraggio di cambiare, che sorprendono e fanno molte domande, ma al momento giusto. Amo i dubbiosi, i cinici a breve scadenza, i poeti senza versi, i testardi.
Amo il modo in cui amano, chiunque amino.
Vedi? C'è così tanto mondo da amare... il fatto è che stiamo tutti come aquiloni in attesa del vento. Bisognerebbe solo cominciare a soffiare. Cosa aspetti?

mercoledì 1 febbraio 2012

Come l'amore in inverno. (E la neve se ne frega)

Perché non si riesce ad amare l'estate quand'è il suo momento? Perché non la si ama come lo si fa d'inverno, quando la neve se ne frega? Il tempo non è mai sincronizzato con i nostri battiti cardiaci.
Forse, però, è un bene: guardate che se ci si abituasse a tutto, finiremmo col non sentire più niente. Troppe volte si finisce già con l'esistere e nulla più. Bisognerebbe continuare a cercare qualcosa in grado di sorprenderci, al di là dei nostri limiti, dentro i nostri entusiasmi, sulle nostre tristezze, rabbie e delusioni cocenti.
Bisognerebbe darsi una cartina per il cuore giacché dagli occhi la strada è troppo complicata, qualche parola in grado d'illuminarci il volto con un sorriso, un bacio a cui aggrapparci. I giorni non sono tutti uguali, così come ci sono parole troppo delicate per essere di tutti, così come ci sono infiniti modi di chiudere gli occhi e riaprirli per incrociarne di nuovi. E, gli sguardi, dove vanno a finire? Non si posso perdere come ombrelli, chiavi, forcine, amore. Gli sguardi, così come le persone, non si perdono: si smette di cercarle.
Non bisognerebbe mai smettere di cercarle. Io continuo a cercare ogni giorno: certe volte mi perdo, altre giro in tondo... cerco negli sguardi sospesi, nelle parole in potenziale, nei respiri sottintesi.
"E, l'hai trovato l'amore?"
Non è questo che importa. È il tentativo: sarà il fatto di cercarlo a salvarci. Perché, quando si cerca davvero qualcosa, il più delle volte le si è accanto. E questo è tutto ciò di cui ciascuno di noi ha bisogno: sentire qualcuno accanto, che voglia ascoltarlo dentro.

giovedì 26 gennaio 2012

Le fotografie che mai scatterò

Gennaio e oggi c'è ancora il sole, anche se un po' nascosto. Ma, se alzo gli occhi, c'è il sole. Però c'è anche la forza di gravità che me li tiene a terra e i malumori che si riciclano, le parole che non ascolta mai nessuno. Gennaio e il desiderio incessante di andare lontano da queste mattine di sentimenti sottovuoto e déjà-vu incoffessabili.
C'è la vita, nei giorni di gennaio: la vita appesa a un filo, la vita contesa tra due strade e ci sono fotografie che mai svilupperò, scatterò. Una scrivania senza fogli sparsi ovunque perché, allora, preferivo non scrivere, ma vivere di respiri che mi dicessero: "non è nulla, non temere, è solo vita, amore." Che passa, agigungerei io. Click.
I cartoni fumanti della pizza portati a casa dopo una giornata di lavoro, noi attorno a un tavolo dove il silenzio viene ucciso a colpi di parole squillanti e risate autentiche. Click.
Un cielo d'agosto di stelle cadenti in ferie, perché si è a corto di desideri. Click.
Qualcuno che non faccia domande ma sia capace di un sincero abbraccio, perché se gridi, non ascolta mai nessuno. Click.
Gennaio e un rullino mai usato, di quelli che nessuno utilizza né utilizzerà più.
C'è il sole, vero, ma anche un cielo che pesa più di quello di Baudelaire, anche non essendo grigio ma del colore di due occhi che non hanno più la voglia di alzarsi verso questo pezzo di cielo. Porzione di cielo dalla quale vorrebbero andarsene. Gennaio e il pensiero rivolto ad un altro orizzonte, ad una torta ancora da preparare e foto da scattare che vengono annoverati tra i buoni propositi mentre, nel frattempo, ci si nasconde dietro all'ombra di un ricordo che non faccia male. Non quanto il presente.

mercoledì 25 gennaio 2012

(In un certo senso) Amare.

Forse basta un giorno qualunque: ogni momento è buono per dare una svolta. Un giorno basta a chiunque per alzarsi. Cominciare a correre? Questo non lo so.
Così come non so, non riesco a dare un senso a questi limiti... basterebbe fare quattroperdueugualeotto: l'infinito rovesciato. Il mondo è così, così... non saprei.
Io, della matematica, non ho mai capito molto. Non ho mai capito nulla, anche perché, se ci pensate: uno, due, tre, i secondi sono tutti uguali. Sono monotoni, poco interessanti. A che cosa serve la matematica applicata ai battiti cardiaci? Perché ci cimentiamo continuamente ad inventare addizioni e coltivare contraddizioni? "Ti voglio bene" è un "depotenziamento dell'amore" oppure no?
Oggi è solo un giorno qualunque dove si risveglia la mia isteria a porre domande a cui nessuno si è mai azzardato a rispondere. Basterebbe una parola: farebbe la differenza tra il camminare ed il cominciare a correre. Basta una parola, o, una risposta all'ultima domanda.
Serve una parola... dov'è il sapore della vita, altrimenti? Non certo in questi biscotti zuppi di latte e lacrime: sono salati, troppo. Ecco, una cosa forse ho compreso: perché è assai sconsigliabile piangere sul latte versato.
Basterebbe poca cosa: la parola "amore" e, di colpo, la vita non starebbe più nella gabbia del topolino sullo scaffale, nel libro dell'esame di storia. La vita esploderebbe in un momento.
Perché una risposta può avvicinarci più di cento passi. Io, però, continuo a non sentire nulla, in questo giorno qualunque. Eppure, "vedi, si rimane in piedi, anche se tu non ci credi."

martedì 24 gennaio 2012

Chi è stato a rubarlo?

Tutti desideriamo ciò che non abbiamo, possiamo avere. Eppure, ve lo dico io, nessuno si è mai accontentato.
Così, mi chiedo, quel pezzo mancante nel puzzle del cuore di chi non l'ha più, chi è stato a rubarlo? Di chi rubò il mio non me ne rammento più. È stato talmente tanto tempo fa... dev'essere stato qualcuno, per sbaglio, anni orsono. Forse è accaduto quando ancora non sapevo nè cucinare, nè esprimere il groviglio che mi porto appresso dietro camicieaquadri e maglietteapois.
Sapevo ridere, forse questo sì. Indubbiamente. Ma non è un sorriso, a guarire le ferite, a chiudere i buchi di un cuore. Sono le azioni di chi ci sta accanto. Di chi, col tempo, ha imparato quando abbracciarci per scaldarci e quando lasciare che cadano a terra, le nostre lacrime di cristallo, cosicché si possano frantumare.
Il fatto è che ognuno di noi ha tempi diversi per impararlo, per trovare quella persona. Così ci ostiniamo a ripeterci che il tempo sistema tutto. Il tempo, semmai, intorpidisce la memoria di chi, come me, ne ha una da elefante.
Comunque vadano le cose, meglio avere una memoria da elefante, anche se ciò significa lasciarsi svegliare dal rumore dei ricordi nel cuore della notte, in preda a incubi di petrolio che si riversano nel nostro mare interiore.
Meglio avere una memoria di elefante che un coraggio da coniglio.

domenica 22 gennaio 2012

Dire ti amo.

Ci sono parole che hanno bisogno di anni per essere espresse, avere un senso. Parole come piante da innaffiare ogni mattina, da averne cura e da esporre al sole affinché possano fare la sintesi dei pensieri e sentimenti che esprimono.
Certe parole possono ferire a morte, altre ingabbiare un cuore per tutta la vita.
Sono quelle che ancora non ho detto, che qualcuno magari può non dire mai in una vita intera. Sono pensieri e sogni magari sbagliati, magari impossibili, ma indubbiamente mai pronunciati.
"Una volta dissi che le persone sono come i libri..."
"Con tanto da raccontare?"
Da non giudicare dalla copertina perché, sono sicura, dietro mille difetti potrebbero piacere, piacerti. Da morire. E, poi, non è vero che un'anima vuota la si riconosce subito: guarda la gente negli occhi. Non ci vedi un mondo intero?
"Le persone sono come i libri, e un libro vuoto non lo troverai mai."
"...È impossibile, però, non pronunciare mai delle parole per tutta la vita."
"C'è anche chi non ha mai detto "ti amo"."

venerdì 20 gennaio 2012

Per cosa vale la pena lottare?

In periodi come questo mi ritrovo a spacciare per vera, pura la mia felicità mal tagliata al sapore di dolci precotti. Felicità in scatola, sottovuoto, in tetrapack, in confezioni monoporzione, svenduta al sottocosto, al 3X2 in grandi svendite di desideri, propositi, aspettative, promesse mai avverate o rispettate.
La gente sogna, desidera, promette; lo fa in continuazione.
Io, ho sempre desiderato andarmene. Fuggire? No. Andarme, però. E non parlo di inutili illusioni di posti da cartolina, di quelli che ammiccano sui poster patinati delle agenzie di viaggio mentre fuori piove e tu te ne torni a casa, la sera, in periodi come questo.
Parlo, invece, di palazzi, persone, profumo di croissant in strada, di gelo invernale e nuvole nere in primavera, di un posto col nome casa, libri sparsi per tutto il soggiorno e un asciugamano azzurro appeso alla porta del bagno.
Parlo di voglia di alzarsi alle sette di mattina e vivere ridendo. Di felicità artigianale.
Ecco perché vale la pena accontentarsi di felicità preconfezionate in periodi così...
Ci si chiede continuamente per cosa valga la pena lottare... un pessimista direbbe "niente", un ottimista risponderebbe "tutto"; per un nichilista, poi, il "niente" sarebbe "tutto" ed il "tutto" diventerebbe "niente".
Io, ho sempre desiderato andare.

sabato 14 gennaio 2012

Moltiplicare sessanta secondi di felicità per una vita su misura.

Io, della matematica, non ho mai copito nulla. Per cominciare non sono mai riuscita a comprendere a che cosa serva dato che poi, in pratica, negativo per negativo non dà quasi mai positivo. E se risulta impossibile moltiplicare sessanta secondi di felicità per una vita su misura.
Non ho mai capito molto anche della vita e praticamente niente di questo sentimento che mi spinge a tremare in un modo che solo io so riconoscere. Tremo e faccio finta di nulla com'è mio mestiere: mi ci pago la vita, da una vita. Poi le mie dita scorrono veloci sulla carta a cercare di dare un ordine comprensibile al mondo, ai pensieri, alle lettere, alle parole. Così la mente pensa, ma non ragiona e le mani tremano, facendomi sbavare tutto l'inchiostro: è il tremolio dei fili d'erba che pochi, talvolta nessuno è in grado di scorgere.
È questa allegra tristezza che mi assale alla sprovvista appena giro le pagine. Come quella canzone: "basta un niente, un nome o una calligrafia, perché ogni cuore ha una memoria tutta sua. Si vede sempre dove strappi via una pagina..."
Ho tremato per la malinconia, perché volevo concedermi il tempo di sentirmi malinconica, mentre mi tornano in mente cose che non contano più nulla. Falso. Contano pur sempre un ricordo.
Ho tremato per tristezza, per paura, perché non capisco se scrivo per me o per voi, e se quello che scrivo agli altri piaccia o no. Non è paura di venire giudicata, né di soffrire: è la paura di non essere presa sul serio, questo sì.
E lo so, che sono alquanto strana, ma non voglio che qualcuno rida di me.
Tremo perché non sto stare ferma, perché vivo e vorrei tanto avere accanto qualcuno che rida con me.

giovedì 12 gennaio 2012

Noi, che non abbiamo amato nessuno mai.

È incredibile il modo in cui siamo soggetti ad ingannarci sulle cose che ci riguardano. Poi accade che arrivi qualcuno che ci mostri come si a fa a scavalcare le recinsioni delle bugie e a dissanguare gli errori. Arriva sempre qualcuno. Quel qualcuno che scombina l'ordine dei nostri piani e poi, immancabilmente, allontaniamo a spinte. Per paura, per orgoglio, per amore sostengono altri.
Vorrei potere affermare il contrario: dire che non ci sono cascata almeno io, che ancora credevo che il mio cuore avesse libero arbitrio sul resto. Io che non ho amato nessuno mai.
Vorrei riuscire a rassicurarvi, a dirvi che tutto andrà nel migliore dei modi. Ho visto giorni d'estate solo belli, sapete? Vedrete che le parole verranno ricambiate, ci saranno nuovi argomenti filosofici per filosofi improvvisati e nuove parole per scrittori nascosti dietro al proprio inchiostro. Scrittori che nessuno riesce nè riuscirebbe a capire dal loro modo di vivere, camminare, dormire e leggere. Che solo qualcuno coraggiosamente ed incoscientemente è riuscito ad amare...
E, se solo qualcuno mi vedesse scrivere, capirebbe.
Vi direi, poi, che abbiamo tutto il tempo del mondo, che se ci fossimo trovati in un film ti saresti voltato, scontrato coi miei occhi cerchiati dai ricordi notturni troppo rumorosi, e sarebbe (ri)cominciato tutto.
Ma la vita è un'altra cosa. E il cuore non può nulla, sottomesso a quel tiranno del cervello. E il fatto che il tempo si possa quantificare altro non è che una patetica illusione. Tanto quanto è una bugia il fatto che ce ne sia ancora molto: il tempo scade ogni volta che respiriamo. Nessuno muore una volta sola. Troppe volte lo facciamo: il nostro cuore si ferma, si arresta, e poi torniamo a vivere.
Forse perchè il battito di un cuore è composto da silenzi: i più profondi di tutti. Forse perchè di silenzi è composta anche una vita e un amore lontano e sghembo che non so più raccontare che, sì, ho lasciato per strada.
Io, che non ho fatto altro che maledire la luna, ultimamente. Odiarla perchè non sa piangere e perchè fa cadere le stelle su questa città uguale a tutte le altre città del mondo, nelle notti d'insonnia: fatte da muri di odio e fiumi d'amore e speranze perdute.
E noi, a furia di osservarle, queste stelle cadenti, abbiamo fatto spegnere quelle nei nostri petti.
Noi, che non abbiamo amato nessuno mai.
Tranne qualcuno.